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Tornato dalla Nuova Zelanda, dopo migliaia di chilometri percorsi a piedi, Tommaso Lizzi ha calpestato l’intero arco alpino scoprendo come il cammino sia terapeutico.
Dopo aver calpestato la Nuova Zelanda in lungo e in largo, riuscendo anche ad attraversare le porte del parlamento di Wellington, Tommaso Lizzi ha deciso di riportare la sua testa e il suo corpo, soprattutto i suoi piedi, in Europa, sull’arco alpino. Il viaggio, anticipato a giugno a LifeGate in un’intervista in cui ha spiegato quale sia per lui l’importanza di camminare — “è ‘il coraggio di essere noi stessi’. Il coraggio di vivere e fare scelte che ci facciano stare bene” —, l’ha portato ad approfondire l’aspetto legato al benessere di camminare, alla parte terapeutica. Questo è il suo racconto testuale, ma soprattutto fotografico dell’ultima sfida che l’ha portato ad alta quota.
“Amo la natura, e gli anni passati tra le montagne e le foreste in Friuli Venezia Giulia, mi hanno insegnato a rispettarla e a viverla a pieno. La mia idea, prima di cimentarmi in questa avventura, era portare con me anche il necessario per scrivere, inviare e pubblicare articoli e foto con il mio computer ma questo mio essere tecnologico andava in contrasto con la voglia di perdermi, cosi ho deciso di lascarmi tutto alle spalle, risparmiando cosi anche qualche chilogrammo alla mia schiena, e scrivere a penna come ho sempre fatto. L’unico peso, in termini di materiale, che ho portato con me è stata la macchina fotografica e il treppiedi. Camminando per due mesi, sotto la pioggia, sole e vento ho avuto un sacco di tempo per pensare e formulare quello che vorrei trasmettere alle persone che incontro durante il viaggio e a quelle che mi leggono.
Negli ultimi giorni mi sono ritrovato a vagare per una città dopo un sacco di tempo passato in alta quota. L’impatto è stato forte. Persone dovunque, un ritmo frenetico e senza sosta anima le strade. Le macchine sfrecciano veloci tra la gente. Nessuno, pur incrociando lo sguardo, ti guarda o ti saluta. Ognuno segue la propria strada. Pochi sorridono. Tutto è veloce e diverso. La mente e i pensieri si chiudono, si opprimono e iniziano a percepire a poco a poco lo stress del cambiamento. Quello che ho constatato negli ultimi mesi è che camminare in un luogo aperto, al di fuori del caos cittadino, fa bene al corpo, ma soprattutto alla mente.
Camminare è l’essenza del movimento per noi uomini. Il ritmo creato passo dopo passo ci culla, corpo e mente. Mentre il corpo è in azione armonica, la nostra mente viaggia e si libera, ma lo fa in un modo completamente diverso da quando il corpo è fermo. E proprio perché la mente è libera, le idee nascono. Ogni giorno ognuno di noi dovrebbe dedicare una parte del proprio tempo ad una passeggiata; in un parco tra il verde degli alberi o immerso tra le montagne: Il risultato è lo stesso, terapeutico. L’unica cosa che bisogna cercare di evitare, dal mio punto di vista, è il centro città, laddove i pensieri e la nostra mente non hanno la possibilità di liberarsi e viaggiare senza ostacoli in ogni direzione. La mente come il corpo hanno bisogno di respirare, di sentire la necessità, di tanto in tanto, di ‘respirare’ profondamente. Questo aiuta i nostri pensieri a rilassarsi e a dare un ordine alle cose, in questo modo è più semplice affrontare quei piccoli stress e problemi che sembravo affliggere la vita di ogni giorno. Ho incontrato persone di ogni tipo, con culture, lingua e forma fisica diversi, ma tutte sorridevano e, nonostante qualche vescica di troppo, erano tutte felici e contenti di trovarsi in mezzo alla natura.
“Camminando si apprende la vita, camminando si conoscono le persone, camminando si sanano le ferite del giorno prima. Cammina, guardando una stella, ascoltando una voce, seguendo le orme di altri passi” (Ruben Blades)
Mi chiedono i motivi che mi spingono a intraprendere queste avventure e, se vogliamo, fatiche. Tra giugno e luglio ho camminato tantissimo, forse anche troppo, ma se ci penso meglio ho semplicemente camminato qualche chilometro ogni giorno, 16 per la precisione.
La sera nei rifugi di montagna è consuetudine condividere la cena con altri ‘camminatori’, vengono raccontate storie e altrettante vengono ascoltate, ci si conosce e si impara sempre qualcosa di interessante e di nuovo. Quando mi chiedono di raccontare la mia storia, di viaggiatore e camminatore in giro per il mondo, le reazioni sono sempre fantastiche, mi fa sentire bene far sognare e sorridere le persone. Mi fanno un sacco di domande su questa avventura e su quelle passate in Nuova Zelanda o in Australia, ma quando parlo con persone della mia nazione, l’Italia, la prima domanda è sempre la stessa: ‘Ma tu che lavoro fai?'”.
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