In Sudan, la città di El Fasher, capoluogo del Nord Darfur, ha rappresentato per mesi l’ultima roccaforte dell’esercito sudanese (Saf) nella regione. Alla fine di ottobre 2025, dopo un assedio durato oltre diciotto mesi, le milizie delle Forze di supporto rapito (Rsf) hanno conquistato la città.
Se le conquiste territoriali nel resto del Paese sono state repentine per entrambe le fazioni, ad El Fasher lo scontro che ha portato allo stato di assedio è stato caratterizzato da bombardamenti quotidiani, attacchi agli ospedali e blocco agli aiuti umanitari. La presa della città da parte dei miliziani ex janjaweed è stata catastrofica per la popolazione civile. Video di esecuzioni sommarie, sfollamenti di massa, saccheggi e incendi nei campi profughi vicini, come il grande campo di Zamzam, sono state fatte circolare immediatamente sui social media. Come nel caso dei soldati dell’Idf, anche in questo caso sono stati direttamente i miliziani a filmarsi e caricare online i video dei loro crimini. In seguito alla diffusione dei video, il leader delle Rsf Hemedti ha annunciato l’apertura di una commissione di inchiesta sui crimini commessi dalle sue milizie.
La città non è solo un capoluogo regionale, ma un nodo strategico e simbolico. Con El Fasher sotto il controllo delle Rsf, il Darfur è ormai quasi interamente nelle mani delle milizie guidate da Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti. E questo potrebbe segnare un punto di non ritorno nella disgregazione territoriale e politica del Sudan.
Una guerra lunga due anni e mezzo
La guerra in Sudan è iniziata il 15 aprile 2023, quando il fragile equilibrio tra l’esercito sudanese (Saf), guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le milizie della Rsf, sotto il comando di Hemedti, è crollato. La contesa, formalmente legata all’integrazione delle Rsf nelle forze armate regolari, nascondeva in realtà una lotta di potere radicata negli anni della dittatura di Omar al-Bashir.
Nel giro di poche settimane, il conflitto ha devastato Khartoum, il Darfur e le regioni del Kordofan. Si stima che potrebbero essere state uccise 150mila persone, milioni di civili costretti a fuggire, e la già fragile economia del Paese è collassata. Le violenze etniche nel Darfur e gli attacchi deliberati contro i civili hanno riproposto lo stesso scenario visto durante la guerra del Darfur di inizio secolo, quando i janjaweed guidati sempre da Hemedti si sono macchiati di crimini di guerra e contro l’umanità. Gli stessi miliziani, ora, fanno parte della Rsf.
La catastrofe umanitaria
Con la caduta di El Fasher, la crisi umanitaria nel Paese ha superato una nuova soglia. Secondo le Nazioni Unite, in Sudan, dall’inizio della guerra migliaia di persone sono state uccise, oltre 11 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case e circa 24,6 milioni vivono in condizioni di insicurezza alimentare acuta. Nel Darfur, la combinazione di assedio, distruzione sistematica delle infrastrutture e accesso ostacolato al soccorso ha trasformato la regione in un immenso campo profughi a cielo aperto.
El Fasher, durante l’assedio, ha accolto decine di migliaia di sfollati interni in condizioni estreme: acqua scarsa, alimenti insufficienti, ospedali bombardati o chiusi. I corridoi umanitari sono stati costantemente bloccati dai combattimenti e dalle restrizioni imposte dalle milizie. Il Programma alimentare mondiale (Wfp) parla della peggiore crisi alimentare della storia recente, mentre l’Unhcr e Medici Senza Frontiere segnalano che molte zone del Darfur sono ormai irraggiungibili.
Accanto alla fame e alle epidemie, il conflitto ha prodotto una crescita drammatica dei crimini di guerra e contro l’umanità. Le Nazioni Unite, Amnesty International e Human Rights Watch hanno documentato esecuzioni sommarie, stupri di massa, attacchi deliberati contro civili e ospedali, distruzione intenzionale di campi profughi e uso della violenza sessuale come arma di guerra.
La Corte penale internazionale ha aperto nuove indagini sui crimini commessi nel Darfur, in continuità con i precedenti mandati d’arresto emessi contro il regime di Omar al-Bashir. Nel luglio 2024, il procuratore Karim Khan ha riferito al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che la situazione “presenta elementi di crimini contro l’umanità e pulizia etnica” e ha annunciato la raccolta di prove sui massacri di Geneina e Nyala.
Entrambe le parti in conflitto sono inoltre accusate di reclutare bambini-soldato. Secondo l’Unief e la missione Onu in Sudan, ragazzi anche di dodici anni vengono costretti a combattere o a svolgere compiti di supporto militare nei fronti più instabili. Molti di questi minori sono obbligati ad unirsi ai combattenti in cambio di cibo o protezione.
Questi crimini si sommano al collasso umanitario. In un Paese dove oltre il 70 per cento delle strutture sanitarie non funziona più e dove la distribuzione di aiuti è ostacolata o sfruttata come leva politica, la distinzione tra guerra e sterminio civile è ormai quasi inesistente.
Lo stallo diplomatico dopo la Conferenza di Parigi
Nell’aprile 2024, la Conferenza internazionale sul Sudan organizzata a Parigi da Francia, Germania e Unione Europea aveva raccolto oltre due miliardi di euro in impegni per sostenere la popolazione sudanese e i Paesi confinanti che accolgono rifugiati. L’iniziativa rappresentava un tentativo di rilanciare la diplomazia multilaterale dopo mesi di stallo. Ma, come accaduto in passato, l’entusiasmo si è presto dissolto.
Gran parte dei fondi promessi non è mai arrivata, e le operazioni sul terreno non hanno potuto contare su canali sicuri per la distribuzione degli aiuti. Parallelamente, la diplomazia regionale, in particolare l’Unione Africana, ha moltiplicato i tavoli di mediazione, senza però produrre cessate il fuoco duraturi.
La frammentazione diplomatica ha fatto il resto: ogni attore ha promosso una propria iniziativa, spesso in concorrenza con le altre. La conseguenza è stata una paralisi quasi totale. Sul terreno, intanto, le due fazioni hanno consolidato le rispettive basi di potere. La Saf ha mantenuto il controllo del Mar Rosso e della costa orientale, con sede a Port Sudan, mentre le Rsf hanno esteso la loro influenza sul Darfur e sul Kordofan.
A complicare lo scenario, la guerra per procura. Diversi rapporti internazionali hanno segnalato il sostegno degli Emirati Arabi Uniti alle Rsf, in particolare nella fornitura di armi e droni in cambio di oro, mentre l’Egitto e l’Arabia Saudita continuano a sostenere l’esercito regolare. La Russia, attraverso il gruppo Wagner, ha mantenuto legami commerciali e militari nel Darfur legati allo sfruttamento dell’oro, mentre l’Iran avrebbe fornito supporto tecnologico e droni alle forze armate sudanesi.
Nell’aprile 2025, a Londra, una nuova conferenza internazionale ha cercato di rilanciare il processo politico. Ma anche quell’appuntamento si è chiuso con dichiarazioni di principio e poche misure concrete.
Pochi giorni prima della caduta di El Fasher, si erano tenuti anche nuovi tentativi di mediazione indiretta tra delegati della Saf e della Rsf, promossi da Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto — il cosiddetto “Quad”. Gli incontri, ospitati a Washington, puntavano a un cessate il fuoco di tre mesi e a garantire corridoi umanitari nel Darfur. Le trattative si sono interrotte bruscamente proprio mentre le Rsf intensificavano l’offensiva su El Fasher, rendendo ogni intesa immediatamente obsoleta.
Il risultato è un blocco totale. Mentre i tavoli diplomatici si moltiplicano, la guerra continua senza freni. Gli appelli delle Nazioni Unite e delle Ong restano inascoltati, e l’attenzione internazionale — già polarizzata su Gaza e sull’Ucraina — fatica a mantenere il Sudan nell’agenda politica globale.
Dopo El Fasher: cosa resta del Sudan
Con la perdita di El Fasher, l’esercito sudanese controlla solo parte dell’est e del nord del Paese, mentre le Rsf dominano la quasi totalità del Darfur e del Kordofan. Port Sudan è diventata la capitale amministrativa de facto, una città sotto pressione, dove si concentrano autorità civili, ambasciate e una popolazione in fuga da Khartoum.
Le istituzioni statali sono collassate, il sistema giudiziario è paralizzato, la moneta in caduta libera. Nelle regioni controllate dalle milizie, la governance è sostituita da una combinazione di potere tribale, economia di guerra e corruzione. Gli esperti parlano di un Paese ormai diviso in due, destinato a un lungo periodo di frammentazione e instabilità.
Sul piano umanitario, le prospettive sono allarmanti. Senza un accesso immediato ai corridoi di soccorso e un cessate il fuoco verificabile, centinaia di migliaia di persone rischiano di morire nei prossimi mesi.
Il caso del Sudan dimostra quanto sia fragile l’attenzione internazionale. In un’epoca di crisi multiple, un conflitto rischia di diventare invisibile quando non tocca interessi strategici immediati. Eppure, quello sudanese è oggi il più grande disastro umanitario del pianeta, con più sfollati di Siria e Ucraina.
La caduta di El Fasher non è solo la fine di una città, è il simbolo del collasso di un intero Paese, dimenticato mentre il mondo guarda altrove. Mentre El Fasher cade, il Sudan si spegne, e con lui un pezzo dell’umanità che avevamo sperato fosse inviolabile.
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