In Sudan la situazione è tesa dopo l’arresto di diversi membri del governo da parte dei militari. Migliaia di cittadini sono scesi in strada a protestare.
Nella giornata di lunedì 25 ottobre, il primo ministro del Sudan Abdalla Hamdok è stato messo agli arresti domiciliari dai militari. Essendosi rifiutato di esprimere pubblicamente il suo sostegno per un colpo di stato in corso, sarebbe stato poi trasportato in una località segreta. A dirlo è al-Jazeera, citando un comunicato diffuso dal governo.
Le informazioni in arrivo dal Sudan sono ancora poche e frammentarie. Sembra che, oltre al premier, i militari abbiano arrestato anche Ibrahim al-Sheikh, ministro dell’Industria; Ayman Khalid, governatore dello stato di Khartum; Hamza Baloul, ministro dell’informazione; Mohammed al-Fiky Suliman, membro del sovrano consiglio; e Faisal Mohammed Saleh, consulente dello stesso Hamdok. La connessione a internet è stata interrotta e le reti statali hanno trasmesso musiche tradizionali patriottiche. Sembra che i militari abbiano anche preso d’assalto gli uffici della televisione di stato.
Migliaia di persone si sono riversate nelle strade della capitale Khartum e di Omdurman, la città più popolosa del paese, per protestare contro quello che viene descritto come un colpo di stato. Dai video diffusi in queste ore traspare una situazione di grande tensione.
Già all’inizio di ottobre c’era stato un altro tentativo di colpo di stato in Sudan, poi fallito. Il 20 ottobre migliaia di persone erano scese in piazza per chiedere il pieno trasferimento del potere ai civili, come risposta a un sit-in di fronte al palazzo presidenziale di Khartum che, al contrario, premeva per il ritorno a un regime militare.
Sudan's PM Abdalla Hamdok is under house arrest for refusing to support a military coup attempt, says information ministry ⤵️
Stando a quanto riporta l’agenzia internazionale Associated Press, l’inviato speciale degli Stati Uniti nel Corno d’Africa Jeffrey Feltman aveva già incontrato le autorità sudanesi nel weekend, per cercare di appianare i contrasti tra i leader civili e quelli militari. Un tentativo che, evidentemente, è andato a vuoto. Washington sarebbe ora “profondamente allarmata” dai fatti delle ultime ore.
Following with utmost concern ongoing events in #Sudan.
The EU calls on all stakeholders and regional partners to put back on track the transition process.
Per trent’anni, dal 1989 al 2019, il Sudan è stato governato da Omar al-Bashir, militare che aveva preso il potere dopo un colpo di stato, accentrando tutti i poteri su di sé. Ad aprile 2019 al-Bashir fu a sua volta spodestato e arrestato, in seguito a vaste e violente proteste popolari. Da allora il paese è stato impegnato in una difficile transizione verso la democrazia che dovrebbe portare alle elezioni nel 2023.
Da un lato, infatti, ha riacquisito una qualche affidabilità a livello internazionale, con la rimozione dalla black list americana delle nazioni che fiancheggiano il terrorismo e il via libera agli aiuti internazionali. Dall’altro lato, l’economia locale è stata messa a dura prova da una serie di riforme necessarie per accedere agli aiuti stessi.
L’unico paese dell’Asia centrale con una volontà democratica sembra essere il Kirghizistan. Ma ora sta compiendo passi falsi sulla libertà di stampa, ossigeno per la democrazia.
L’ultimo attacco, nel sud della Striscia di Gaza, ha causato oltre 50 morti e centinaia di feriti. Israele continua a usare la fame come arma contro i palestinesi.
Centinaia di aerei militari israeliani hanno bombardato siti militari e nucleari dell’Iran. Netanyahu ha detto che l’operazione sarà lunga e ora si attende la risposta dell’Iran.
Una serie di operazioni anti-immigrazione hanno causato proteste a Los Angeles. Donald Trump ha risposto con l’invio dell’esercito, alzando la tensione.
A bordo della Madleen, gestita dalla Freedom Flotilla Coalition, c’erano pacchi di aiuti umanitari e l’attivista Greta Thunberg. L’equipaggio è in stato di fermo in Israele.
La Sierra Leone è uno degli stati africani più esposti al rischio di carestie e calamità naturali. Anche a causa della deforestazione, fenomeno che l’Occidente sembra voler ignorare.
Dall’Unione europea al Regno Unito, passando per il Canada, crescono le misure diplomatiche contro Israele. Che però va avanti con il genocidio a Gaza.