“Guarda qui, questa è la zampa di un cucciolo di rinoceronte, usata come portamatite: le persone non sanno che esiste un mercato del genere. Sì, magari vedono le foto sui social dei cacciatori in posa col proprio trofeo di caccia, ma non pensano che qualcuno sia in grado di fare questo”. Britta Jaschinki, fotografa-attivista di fama mondiale, co-fondatrice di Photographers Against Wildlife Crime, una comunità internazionale di fotografi pluripremiati che hanno unito i loro talenti per combattere il commercio illegale di animali selvatici, ci accompagna tra le foto della sua ultima mostra, “Natura morta. In consegna”, esposta fino al 21 marzo gratuitamente a Roma in una splendida sala di Palazzo Valdina, una delle sedi della Camera dei deputati.

Zampa di rinoceronte baby, sequestrata dal National Wildlife Property Repository, US Fish and Wildlife Service, Denver Colorado, USA © Britta Jaschinki

E non si dà pace, come fosse la prima volta che osserva le sue stesse immagini. Corpi, pelli, zampe e teste di animali selvatici dagli sguardi oramai vacui, irrigiditi nell’immobilità della morte: non più animali ma trofei di caccia, resi tali dalla canna di un fucile e immortalati dall’obiettivo della fotocamera. Nature morte del nostro tempo, che evocano il parallelismo tra l’uccisione e la reificazione di animali appartenenti a specie minacciate e a rischio di estinzione e l’idea classica di “natura morta”, ovvero la raffigurazione di oggetti inanimati, tra i quali anche bottini venatori. Immagini tratte dal materiale illegale confiscato dalle dogane di mezzo mondo, a cacciatori improbabili e senza scrupoli di ritorno da safari di caccia al trofeo in Africa o ovunque vi sia una terra selvaggia da rovinare: c’è il portapenne fatto con zampa di un baby rhino, certo, ma anche code di elefanti come souvenir, pelli di tigre, sedie rivestite con pelle di ocelot, una tartaruga caretta caretta gigante, perfino delle pantofole ricavate dalle zampe di un orso.

La lotta di Britta Jaschinski contro i trofei di caccia

E tanto ci sarebbe di più, ci racconta Britta Jaschinki passeggiando tra le foto: “Spesso sono i funzionari delle dogane a chiamarmi, mi dicono ‘devi venire a vedere quello che abbiamo confiscato, devi venire a fotografare.’ Io vado ma alcune cose sono così disturbanti che non riesco a fotografarle…”. Impossibile, dice, trovare il giusto distacco tra quello che si prova e quello si deve immortalare: sarebbe la dura legge del fotografo di professione, ma d’altronde lei si definisce “un’attivista, prima di tutto. Sono una fotografa e una giornalista, ovviamente, ma con gli anni ho capito che posso anche fare la differenza con le mie foto. Dico sempre che queste sono le evidenze di quello che stiamo creando su questo pianeta. Le persone non credono che esiste un mercato di trofei di caccia di questo tipo, e questo per me è il modo migliore che ho trovato per insistere sul fatto che si deve trattare con dignità gli animali selvatici”. L’obiettivo della mostra è proprio questo: evidenziare l’impatto della caccia al trofeo, ancora legale in molti paesi, evidenziando il disprezzo per la vita animale, in particolare quella di specie a rischio di estinzione e protette a livello internazionale, la pericolosità per gli sforzi di conservazione e per la tutela degli ecosistemi, della biodiversità e dell’ambiente.

La caccia al trofeo e il suo impatto

Già, perché nei dieci anni tra il 2013 e il 2022, solamente l’Unione Europea ha importato trofei di caccia provenienti da oltre 27mila animali appartenenti a specie protette dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites), posizionandosi come il secondo importatore mondiale dopo gli Stati Uniti d’America. I principali paesi esportatori verso l’Ue sono Namibia, Sudafrica e Canada. La zebra di montagna di Hartmann, il babbuino nero, l’orso nero americano, l’orso bruno, l’elefante africano e il leone africano sono tra le specie animali più importate in territorio europeo. In Italia, nello stesso periodo, sono stati importati 492 trofei; tra le specie più cacciate per l’ottenimento di trofei vi sono l’ippopotamo, l’elefante africano, il leone africano, il leopardo, l’orso bruno e l’orso polare.

Come ricorda Martina Pluda, direttrice per l’Italia di Humane society international/Europe, cui si deve l’organizzazione della mostra “in Italia, nonostante il 74 per cento della popolazione sia chiaramente a favore di un divieto di importazione dei trofei di caccia di animali appartenenti a specie a rischio di estinzione, questa pratica rimane legale. Mettere un freno a questa pratica crudele e anacronistica non è solo un imperativo etico ma anche la risposta adeguata al mandato del Parlamento Europeo che, nel 2022, ha richiesto un divieto sulle importazioni di trofei”. In effetti, adesso due proposte di legge identiche presentate sia alla Camera che al Senato cercheranno di porre rimedio al più presto, come hanno già fatto in Europa Belgio, Francia, Paesi Bassi.

Trofei di corno falso, sequestrata dal National Wildlife Property Repository, US Fish and Wildlife Service, Denver Colorado, USA © Britta Jaschinki

Anche perché questo stesso mercato legale (ma comunque eticamente inaccettabile) dei trofei di caccia ne alimenta poi un altro totalmente fuorilegge: “Questo è un altro grande esempio di come un mercato legale diventa qualcosa di illegale – ci spiega Britta Jaschinski accompagnandosi verso un’altra delle sue foto -: un rinoceronte ucciso, le cui corna sono state staccate e vendute al mercato illegale in Cina, e rimpiazzate da corna finte. Non si tratta solo di uccidere animali e farne trofei di caccia, ma anche di fomentare un mercato illegale”.