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“Il mondo che vorremmo” è la nuova stagione dello Spazio Teatro No’hma, tutta dedicata all’equilibrio uomo ambiente. Ne abbiamo parlato con Livia Pomodoro, presidentessa della struttura.
Passione, competenza, determinazione. Così Livia Pomodoro, presidentessa dello Spazio Teatro No’hma porta avanti il messaggio della sorella Teresa di attenzione e amore verso la natura e la società. Siamo andati ad incontrarla alla ex Palazzina dell’Acqua potabile di via Orcagna, a Milano, per parlare de “Il mondo che vorremmo”, la nuova stagione interamente dedicata al rapporto – delicatissimo – tra l’uomo e l’ambiente.
La nuova stagione dello Spazio Teatro No’hma ha un forte contenuto ambientalista. Vuole parlarcene?
“Il mondo che vorremmo” è una stagione particolare, legata al nostro riflettere su ciò che oggi è più attuale, ovvero il rapporto tra l’uomo e il pianeta e le conseguenze delle nostre azioni sbagliate nei suoi confronti. Noi pensiamo che non si possa distruggere la natura. Per questo, con gli spettacoli di questa stagione, vorremmo fare un viaggio coi nostri spettatori – sia i giovani, sia tutti coloro che sono più attenti a questi temi – proponendo esperienze che stimolino riflessioni e suggestioni . Ci piace pensare che a volte i sogni possano divenire realtà.
Quali sono i punti fondamentali di questa stagione?
Punti fondamentali della stagione sono quelli legati al tentativo di far ripensare all’uomo la sua condizione di abitante della Terra, che è patrimonio di tutti. Da qui il nostro tentativo di dare visibilità a coloro che sono esclusi a profitto o vantaggio di chi occupa le terre. E poi, “Il mondo che vorremmo” rappresenta, da un lato, anche il tentativo per riflettere su cosa gli uomini possono fare quando capitano catastrofi naturali, purtroppo tanto attuali e dall’altro il tentativo di ricomporre un rapporto buono con la natura e gli altri uomini, gli animali, le piante.
Come si ricompone questo equilibrio, secondo lei?
Quello che l’uomo di oggi non ha capito è che per mantenere un equilibrio è necessario prendersi cura della natura e delle altre persone. Coi nostri spettacoli e le nostre attività vogliamo ricordare proprio questo. Lo facciamo da teatranti, in maniera immaginifica e spettacolare, ma questo ha un grande effetto educativo perché richiama l’attenzione anche di coloro che sono distratti e che a queste cose non pensano chiudendo il loro vivere in un percorso egoistico, dimenticandosi che al mondo non esiste nulla che non sia interconnesso, nella natura e tra gli uomini.
La gratuità degli spettacoli dello Spazio Teatro No’hma parte di questo “prendersi cura delle persone che ci circondano”?
Solo in parte. Quella di aprire il teatro a tutti, “dal generale all’homeless”, come si suol dire, è una scelta culturale alta, di chi pensa che bellezza e arte – che possono spingere gli uomini a riflettere sulla loro condizione al di là delle costrizioni del vivere quotidiano – non debbano essere a pagamento. Oggi prevale l’idea che tutto quello che facciamo debba essere spinto verso il profitto e il consumo. Consumiamo tutto, aria, acqua, terra e natura, alla ricerca di un benessere effimero. E quando ci accorgiamo che è così, è troppo tardi. La nostra scommessa da teatranti è quella di ricordare tutto questo a più persone possibile, di poter vestire i panni dell’arlecchino per dire anche ciò che c’è di spregevole nel mondo, col sorriso sulle labbra.
Gli spettacoli di Spazio Teatro No’hma non sono solo gratuiti, ma anche in streaming. Come è nata l’idea?
È stato grazie agli Inuit della Groenlandia, che hanno portato qui uno spettacolo bellissimo. Sono stati davvero straordinari: hanno portato sul palco il rispetto per una natura difficile, complessa. Avevano un gran desiderio di comunicare. Quando ci hanno detto che erano dispiaciuti perché le persone del loro villaggio non avrebbero mai visto lo spettacolo, abbiamo pensato di proporre lo streaming. Da quel momento utilizziamo lo streaming per tutti i nostri spettacoli, con risultati molto buoni.
Vuole parlare del premio internazionale “Il teatro nudo” di Teresa Pomodoro?
Il premio internazionale è un’esperienza straordinaria che è nata un anno e mezzo dopo la scomparsa di mia sorella. Abbiamo pensato che il teatro potesse essere un luogo dove le barriere – mentali e fisiche – con gli altri paesi potessero essere annullate. Il nostro teatro non è quello ufficiale, ma quello sotterraneo, quello degli invisibili e di coloro che non sono compresi. Noi lo abbiamo chiamato il teatro dell’inclusione. Anche quest’anno avremo moltissime esperienze straniere che arrivano anche da paesi che conosciamo poco o che prendiamo poco in considerazione, come la Malesia, la Cambogia, l’Australia. Credo che qualche sorpresa l’avremo dai paesi meno noti e meno coinvolti o meno impegnati nell’affrontare il riscaldamento globale.
Se dovesse dire cos’è per lei la sostenibilità in una frase, cosa direbbe?
La nostra idea di sostenibilità non è quella che viene propugnata tutti i giorni. Per noi sostenibilità significa scegliere attraverso il nostro lavoro un modo di vivere all’interno di una natura amica, cercando di aggregare attorno a questa idea il più possibile di socialità umana.
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