Clima e diritti umani, cosa è successo finora ai Mondiali in Qatar

I Mondiali in Qatar si confermano molto “politici”: dall’impatto sull’ambiente alle rivendicazioni in campo, ecco cosa è successo finora oltre ai gol.

Ambiente, geopolitica, diritti umani e civili. I Mondiali in Qatar non sono ancora giunti alla fine della prima fase che si sono già confermati come i più “politici” della storia della Fifa. Le premesse del resto, c’erano tutte: le inchieste sui lavoratori migranti morti nei 10 anni di preparazione delle infrastrutture necessarie allo svolgimento del torneo (6.500 per il Guardian, 400-500 per il Qatar), l’assenza di rispetto dei diritti umani in Qatar, la fortissima impronta inquinante del torneo. Tutte questioni che avevano portato, negli scorsi mesi, a numerose proteste e boicottaggi da parte di tifosi, istituzioni, squadre stesse.

Oltre 3 gradi in più a Doha durante i Mondiali

A dieci giorni dall’inizio, l’impatto dei Mondiali in Qatar sull’ambiente è già fortissimo. Gli esperti di Climate Central spiegano che tutte le attività relative alla Coppa del Mondo 2022 (dal 2011 al 2023) emetteranno circa 3,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, pari alle emissioni annuali di oltre 775mila auto a benzina. Questo equivale anche a un aumento di oltre il 70 per cento rispetto alla Coppa del Mondo del 2018 svoltasi in Russia, e un record per l’evento dal 2010, prima edizione per il quale si hanno a disposizione dati certi.

Si prevede che le quote maggiori di emissioni durante i Mondiali in Qatar proverranno dai viaggi (52 per cento principalmente dai viaggi aerei internazionali, ma anche dagli aerei-navette quotidiane che fanno la spola tra Doha e Dubai), dalla costruzione e dal funzionamento delle infrastrutture (24 per cento) e dagli alloggi (20 per cento). La Fifa si è ufficialmente impegnata a rendere la Coppa del Mondo 2022 il primo torneo a emissioni zero, un obiettivo che si baserà in gran parte sulla compensazione della CO2.

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Mondiali in Qatar, italiano invade il campo durante Portogallo-Uruguay

Ma un’analisi indipendente di Carbon Market Watch suggerisce che l’approccio contabile della Fifa ha sottostimato le emissioni derivanti dalla costruzione degli stadi. Il primo risultato è che in questi giorni la temperatura media in Qatar è più elevata di 3,4 gradi rispetto alla media per lo stesso periodo dell’anno, con ripercussioni fisiche serie sugli stessi atleti. Secondo Andrew Pershing, direttore del dipartimento di Scienze climatiche di Climate Central, “lo stress legato al gareggiare in condizioni di caldo estremo sta colpendo un numero crescente di sportivi, e il cambiamento climatico sta rendendo gli sport all’aperto più rischiosi sia per i professionisti che per il resto di noi. E continuerà ad essere ancora più rischioso, finché le emissioni nette di gas serra non saranno abbattute e le temperature globali non smetteranno di aumentare”.

Una menzione particolare va all’uso smodato dell’aria condizionata all’aperto negli otto impianti che ospitano le partite dei Mondiali in Qatar. Sotto a ogni seggiolino c’è è un bocchettone per l’aria, e in molti tra tifosi e giornalisti l’hanno detto: allo stadio fa freddo. Talmente freddo che perfino alcuni calciatori ne hanno risentito come quelli del Brasile: l’attaccante Antony, in un’intervista a ESPN Brasil, ha rivelato: “Ho avuto un brutto mal di gola per alcuni giorni che mi ha dato un po’ fastidio, è stata l’aria condizionata che mi ha creato problemi. Non ci sono passato solo io, ma anche altri giocatori avevano tosse e mal di gola”. Gli altri giocatori erano il portiere Alisson e il centrocampista Paqueta.

Il caso Iran

Il caso della nazionale iraniana, ormai eliminata dai Mondiali in Qatar, ha tenuto banco. In occasione della partita d’esordio contro l’Inghilterra, i calciatori iraniani non hanno cantato l’inno nazionale, come gesto di protesta per la brutale repressione delle manifestazioni spontanee sorte in patria dopo l’uccisione della giovane Mahsa Amini, rea solamente di non aver indossato il velo in pubblico. Apostrofati come “traditori” dalla stampa di regime locale, i calciatori hanno cantato l’inno nella seconda gara contro il Galles, anche se in maniera poco convinta.

In quell’occasione una tifosa sugli spalti ha mostrato una maglia dell’Iran con il nome di Mahsa Amini, che è stata sequestrate dalle autorità del Qatar. L’inno è stato cantato anche nel terzo match contro gli Stati Uniti, una partita dai fortissimi significati geopolitici: sembra che da Teheran, alla vigilia, fosse arrivato il suggerimento di “comportarsi bene” per evitare problemi ai familiari dei calciatori in patria…

I colori arcobaleno

Otto nazionali europee avrebbero voluto scendere in campo affidando al proprio capitano una fascia arcobaleno con la scritta One Love per sostenere i diritti della comunità omosessuale in Qatar. La Fifa ha vietato l’iniziativa, spiegando che tutto il materiale tecnico per giocare deve essere quello ufficiale della Federazione internazionale, ricevendo molte critiche. Per rimediare, ha rilanciato la propria campagna ufficiale No discrimination: in pratica, una fascia alternativa alla One Love ma ufficiale. “Siamo – ha spiegato la stessa Fifa – un’organizzazione inclusiva che vuole mettere il calcio a beneficio della società sostenendo cause buone e legittime, ma deve essere fatto nel quadro delle regole della competizione che sono note a tutti. Il presidente della Fifa Gianni Infantino ha ribadito il suo sostegno alla comunità Lgbtqi+”.

La Germania, nella prima partita disputata, ha protestato contro questo divieto: tutti i giocatori si sono tappati la bocca durante la foto ufficiale, come a dire: “Ci avete tolto la voce”. L’arcobaleno è stato comunque presente negli stadi del Mondiale: per esempio attraverso i cappelli dei tifosi del Galles, e sulla bandiera portata in campo dall’italiano Mario Ferri, che ha invaso il terreno di gioco durante Uruguay-Portogallo indossando una maglia di Superman con due messaggi: sulla schiena “Respect for Iranian women“, sul petto “Save Ukraine”. E durante Francia-Tunisia un altro invasore ha mostrato, questa volta, una bandiera della Palestina.

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