Qatar, il mantello di Al Thani sulla Coppa e sul mondo

La finale della Coppa del mondo è stata soprattutto il trionfo dell’emiro del Qatar Al Thani: e ora anche lui minaccia l’Europa con l’arma del gas.

  • Messi che alza la coppa col mantello dell’emiro è il simbolo finale dei Mondiali.
  • E ora il Qatar minaccia di sospendere le forniture di gas per l’inchiesta europea sulla corruzione.
  • Nel corso della finale fermata l’ultima protesta: quella delle Pussy Riot.

È finita con Leo Messi che alza la Coppa del Mondo con la maglia numero 10 dell’Argentina offuscata dal bisht, il tipico mantello nero simbolo di prestigio e ricchezza, in cui l’ha avvolto l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani. L’atto finale dei Mondiali in Qatar ha un significato politico fortissimo, il tentativo quasi letterale del governo qatarino di ‘mettere il cappello’ sull’evento sportivo forse più popolare del mondo, e che ieri ha tenuto incollato al televisore qualche miliardo di persone con la spettacolare finale tra Argentina e Francia.

da Lionel Messi e Kylian Mbappe un grande spot per il Qatar © Alex Pantling/Getty Images

E soprattutto, tra Leo Messi e Kylian Mbappe, autori da soli di 5 dei 6 gol del match, ed entrambi stelle del Paris Saint Germain di proprietà dell’emiro Al Thani. Non esattamente un caso: la Fifa ha assegnato i Mondiali 2022 al Qatar nel dicembre 2010, il Psg è finito nelle mani dell’attuale emiro pochi mesi dopo, nel 2011.

La partita in corso a Bruxelles 

La finale dei Mondiali in Qatar nello stadio Lusail di Doha non è stata altro che l’apice di quella strategia iniziata 11 anni fa: un ritorno di pubblicità immenso, che pone il piccolo ma ricchissimo emirato al centro del mondo.

Una strategia di crescita e di accreditamento economico, geopolitico e infrastrutturale che però non solo non è stata accompagnata da sufficienti progressi sul piano sociale e dei diritti umani, ma che nemmeno si è limitata al soft power.

 

Se l’ultima partita dei Mondiali in Qatar si è appena giocata, quella giudiziaria che ha coinvolto proprio il Qatar e l’Unione europea sembra appena cominciata: secondo una inchiesta avviata dalla Procura federale di Bruxelles, infatti, emissari dell’emirato del Qatar ben infiltrati all’interno delle istituzioni europee, in particolare il Parlamento, in questi anni avrebbero influenzato decisioni economiche e giudizi sul rispetto dei diritti umani nella capitale Doha, “pagando ingenti somme di denaro o offrendo doni significativi a terzi che rivestono una posizione politica e/o strategica significativa all’interno del Parlamento europeo” come dice la Procura.

L’indagine ha finora portato alla sospensione della vicepresidente dell’europarlamento Eva Kaili, che più volte in passato si era espressa in toni entusiastici circa i presunti miglioramenti nelle condizioni lavorative cui sono sottoposti i migranti in Qatar, ma l’inchiesta riguarda anche ex eurodeputati italiani e membri di ong.  La stessa Coppa del mondo, molto contestata sul piano dei diritti umani e dell’ambiente, sia al centro del tentativo di corruzione.

La minaccia del gas

Alla luce dello scandalo scatenato dall’inchiesta, l’Unione europea ha provato a correre subito ai ripari: sul tavolo c’è il rafforzamento di alcune misure anticorruzione, tra cui quella di escludere dall’Europarlamento i lobbisti (categoria che, al netto dell’accezione negativa che permane in Italia, in Europa è strettamente regolata) proveniente da Doha. Ipotesi che ha generato una sorta di minaccia da parte del Qatar: “La decisione di imporre una tale restrizione discriminatoria al nostro paese, limitando il dialogo e la cooperazione prima della fine del procedimento giudiziario, avrà un effetto negativo sulla cooperazione in materia di sicurezza regionale e globale, nonché sulle discussioni in corso sulla scarsità energetica globale”. In pratica, la nazione araba potrebbe diminuire o limitare le forniture di gas naturale, per il quale l’Europa si è rivolta massicciamente proprio al Qatar dopo lo stop alle forniture russe, passando dai 17 miliardi di metri cubi del 2021 ai 25 miliardi del 2022.

Il caso dei due giornalisti deceduti

Alle ombre sui diritti umani, Lgbtqi+ e legati alle emissioni spropositate di CO2 legate ai Mondiali in Qatar, si sono aggiunte in corso d’opera anche quelle relative alla morte, in circostanze misteriose, di due giornalisti che seguivano i mondiali, a distanza di poche ore. Prima è toccato allo statunitense Grant Wahl, che ha avuto un malore nella serata del 9 dicembre durante la partita Olanda-Argentina.

L’11 dicembre ha invece perso la vita per cause ignote il qatariota Khalid Al-Misslam. Grant Wahl, in particolare, alcuni giorni prima era stato fermato dalle autorità qatariote perché aveva provato a entrare allo stadio con una maglietta arcobaleno: secondo il fratello sarebbe stato ucciso per le sue prese di posizione contro le autorità del Qatar.

Il blitz mancato delle Pussy Riot

Molti sono stati gli episodi significativi avvenuti durante i Mondiali in Qatar, tra rivendicazioni politiche, sociali, umanitarie: i calciatori iraniani che non hanno cantato l’inno in occasione della prima gara, quelli tedeschi che ci sono ‘tappati la bocca’ contro la censura della Fifa, i cappelli arcobaleno dei tifosi del Galles, alcune invasioni di campo di tifosi con bandiere inneggianti all’Ucraina, alla pace, ai diritti della comunità Lgbtqi+.

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E in occasione della finale si sarebbero dovute “esibire” anche le Pussy Riot, il noto collettivo punk rock russo, femminista e politicamente impegnato: tre componenti del gruppo, secondo il quotidiano tedesco Der Spiegel, sarebbero state fermate dalla polizia prima di un tentativo di invasione di campo in cui avrebbero dovuto manifestare contro l’invasione dell’Ucraina e per la liberazione del dissidente russo Aleksej Navalny, insignito del Premio Sacharov per i diritti umani dal Parlamento europeo nel 2021 e attualmente detenuto in Russia.

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