Nils Frahm, compositore. Non immaginavo il pianoforte come il mio strumento

Il pianista neo classico Nils Frahm pubblica una raccolta di inediti per chiudere il passato e aprire un nuovo ciclo. Lo abbiamo intervistato.

Riflessivo, profondo, per certi versi complesso. Ci appare così Nils Frahm, con indosso l’inseparabile coppola, durante la nostra conversazione a distanza in occasione dell’uscita il 3 dicembre del suo ultimo album, Old friends new friends. Una raccolta di ventitré tracce per lo più inedite, scritte dal compositore tedesco tra il 2009 e il 2021, che segnano un punto di svolta nella sua intensa e fulminante carriera. Un percorso – che LifeGate ha sempre seguito con interesse – costellato da numerosi album in studio, solisti o collaborativi, e soprattutto da migliaia di concerti e performance sold out in tutto il mondo.

Lo sguardo di Nils Frahm
Nils Frahm ritratto per l’uscita di Old friends new friends © Leiter

Nils Frahm e l’equilibrio naturale tra musica classica e sperimentazione

Come altri artisti, anche Frahm ha approfittato del lockdown per mettere ordine al suo esteso archivio musicale, da cinque anni collocato nello storico studio berlinese alla Funkhaus, e dare quindi forma a materiale che meritava di vedere la luce. Del resto, per un (ormai ex) enfant prodige come lui, è perfino normale essersi dimenticato di aver composto magnifici abbozzi acustici al pianoforte. Il pianoforte, questo strumento che lo accompagna dalla nascita, ma per cui in realtà non prova alcuna affinità elettiva. Nell’intervista, Nils Frahm spiega perché ha lanciato la Giornata mondiale del pianoforte, ma al tempo stesso confessa la sua predilezione per le apparecchiature elettroniche e la musica sperimentale. Descrive come ha modificato il piano, creando di fatto quel suono ovattato che è diventato il suo tratto distintivo. Racconta, infine, di musica per il cinema e del significato di amicizia.

Perché hai deciso di raccogliere in un unico lavoro così tanti brani inediti nell’arco di dodici anni?
Ho voluto valorizzare il materiale registrato in passato per mostrare tutti i tipi di piano e i differenti stili usati in carriera, facendoli confluire in un lavoro dal formato più lungo, un doppio album. Una raccolta di memorie sparse, più o meno offuscate, alcune mai emerse prima e altre uscite come b-side, che idealmente chiudono un cerchio. Le ho selezionate senza pensare ai dettagli tecnici o al periodo in cui sono state composte, ma soprattutto senza considerarle scarti da mettere insieme in modo casuale.

Avevi paura di perdere parte del tuo patrimonio artistico, lasciando materiale incompiuto nel cassetto?
Più che dalla paura, che non è un buon consigliere, sono stato spinto dalla curiosità. Durante la pandemia ho avuto il tempo di registrare materiale nuovo e di ripensare a quello vecchio. Ho fatto pulizia in studio e liberato spazio nel mio hard drive, salvando con cura le tracce più significative per questo lavoro e cancellando le altre. Curiosità, ma anche avere dubbi su me stesso, una spinta che mi porta gioia e sollievo quando riesco a concludere qualcosa di irrisolto o a creare ciò che mi piace.

Le mani di Nils Frahm si poggiano con vigore sui tasti del piano
I muscoli delle sue mani, ha raccontato, si sono rinforzati nel corso degli anni © Leiter Verlag

Come giudichi il tuo modo di suonare oggi rispetto ai tuoi esordi?
Può sembrare banale, ma un cambiamento è inevitabile. Ora non potrei mai suonare come nel 2009. Non amo fare confronti e non penso molto a questo aspetto, però adesso mi soffermo più sul ritmo, mentre agli inizi mi concentravo in particolare sull’armonia, sui rivolti e sui suoni. Quest’album non deve far emergere tutti i miei aspetti di musicista, solo il mio lato più atmosferico mentre suono il piano.

Quanto ti ha influenzato John Cage, a cui il brano di apertura 4:33 rende omaggio?
Non è importante ascoltare Cage tutti i giorni per rimanerne colpiti. A livello concettuale ha avuto un peso enorme su qualsiasi compositore serio del ventesimo secolo, un po’ come Freud anche se non hai mai letto un suo libro. È incredibile come le idee e i concetti di queste figure non siano stati compresi dai più per via della loro complessità, e siano invece stati tradotti e riprodotti da poche persone che li hanno fatti arrivare praticamente a chiunque. Per entrare nell’universo Cage, fatto anche di testi e disegni, suggerirei di cominciare dall’ascolto della sua opera In a landscape del 1948.

Nel 2015 hai lanciato l’iniziativa Piano day, la Giornata mondiale del pianoforte, che ricorre l’88° giorno dell’anno (29 marzo) in omaggio agli 88 tasti del pianoforte. Come mai l’esigenza di celebrare questo strumento?
Ero curioso di come si potesse creare dal nulla una giornata celebrativa, un po’ come per i cani e i fiori. Ho scoperto che non esiste una procedura ufficiale, ne ho parlato con alcuni amici e l’abbiamo fatto. Adesso la Giornata mondiale del pianoforte è decollata e ha una dinamica autonoma, ma la cosa bella è che ci sono più persone incoraggiate a suonare questo strumento. Mi piace l’immagine di qualcuno che suona il piano invece di fare altro.

L'amore per i synth
La strumentazione elettronica di Nils Frahm comprende vari sintetizzatori tra cui due Juno 6 © Leiter Verlag

Come descriveresti il tuo rapporto con il pianoforte?
Non è un rapporto univoco, ogni pianoforte ha una propria personalità e anima. Ne ho provati diversi, alcuni mi piacciono e altri meno. In generale, ho sempre trovato il pianoforte un po’ noioso perché fin da piccolo ne ero circondato, in casa come a scuola. Non lo immaginavo come il mio strumento. Non sognavo di averne uno mio o addirittura di costruirne un esemplare, dato che potevo suonarlo ovunque, come chiunque altro. Lui era già lì, a disposizione. Ciò che mi ossessionava, invece, erano i sintetizzatori e i componenti elettronici, come gli amplificatori o altri apparecchi dai suoni bizzarri. Dovevo acquistarli con i miei risparmi e quando arrivava il momento ne ero davvero entusiasta. Il mio rapporto con il piano è sempre stato sorprendentemente poco passionale. Mi piace suonarlo, ma non lo trovo bello esteticamente, non ha una forma accattivante e inoltre è ingombrante. Per me è come una lavatrice o una macchina.

Perché, a partire dall’album Felt del 2011, inserisci il feltro sui martelletti del pianoforte?
Il suono di un pianoforte non personalizzato è spesso brutto, eccessivamente forte e poco piacevole al mio orecchio, perché lo strumento è configurato per suonare in uno spazio senza microfoni, non per essere registrato. Manca di bassi e le troppe frequenze medie mi distraggono, rendono difficile la scelta di ciò che voglio sentire o registrare in una stanza. Ho sperimentato sulle corde il suono più adatto a compensare quello originario finché non ho trovato la mia voce: riducendo gli armonici, accade che emotivamente il suono sembra smorzato, ma fisicamente le note e le frequenze fondamentali, quelle medie, suonano più intense rispetto alle alte e anche i bassi, soprattutto abbassando i volumi, si sentono di più. Il suono alla fine è più corposo e, al momento di registrare, può tornare anche più forte. Così ricerco il mio pianoforte ideale, ed è per questo che al Piano day nel 2015 abbiamo costruito un pianoforte di quattro metri e mezzo (il Klavins M450, ndr).

Alle prove circondato dalle sue macchine
A un soundcheck © Jerzy Wypych

Dal vivo suoni con grande vigore. Dove trovi l’energia anche fisica per sostenere tutti quei concerti?
Il segreto è prendersi delle pause. Con l’interruzione dei concerti per la pandemia ci siamo fermati, ma lo avremmo fatto comunque. È anche importante avere un team, come il mio, che ti supporti: quando ero in tour mi godevo ogni tappa perché ai soundcheck trovavo il grosso già pronto.

Come hai vissuto la pandemia?
Come tanti, ho sentito la stranezza e le difficoltà, ma ho cercato di concentrarmi sulle cose importanti che avrei comunque potuto portare avanti. Per fortuna ho continuato il lavoro da solo in studio, ho assemblato Old friends new friends e registrato altro materiale. Non mi sono annoiato né sentito giù.

Trasparenze nel volto e nella mani di Nils Frahm
Filtri © nilsfrahm.com

Sei un artista solitario o preferisci lavorare con altri musicisti?
Se c’è la possibilità di collaborare con qualcuno mi fa piacere, ma date le circostanze è stato inevitabile lavorare da soli. Nonostante tutto, la pandemia è stata un’occasione per curarsi dei propri progetti ed essere consapevoli di avere già tutto il necessario, senza pensare alle rinunce. Mi hanno consigliato di non preoccuparmi di ciò che non posso cambiare e di abbracciare invece la calma, uno stato d’animo che probabilmente prima non avevo.

Tra le tue collaborazioni, cosa pensi di quelle con Peter Broderick, Ólafur Arnalds e F.S. Blumm?
Sono tutti artisti diversi che ammiro e adoro sia come persone che come musicisti. La cosa che mi piace di più è la possibilità di fare musica diversa con ognuno di loro. La musica con Broderick suonava così Broderick che dovevo trovare uno spazio lì dentro. Quella con Arnalds vede due pianisti mentalmente simili che armonizzano insieme, sentendosi quasi un’unica persona. Quella con F.S Blumm è interessante perché non ha un focus, è un intreccio dialettico tra due stili differenti: quando io suono qualcosa di dolce, lui aggiunge suoni più forti e piccanti. È sempre strabiliante lavorare con Frank, ed è il motivo per cui abbiamo appena fatto uscire il quarto album insieme (2X1=4, ndr), che è diverso dai precedenti e non sarà certamente l’ultimo.

Di spalle in Trippin with Nils Frahm
Frahm compone in solitario ma ama collaborare con artisti diversi © Leiter Verlag

Hai composto anche colonne sonore. È difficile scrivere musica per i film?
Può essere difficile, ma non dovrebbe. Ci sono volte in cui ti senti benedetto se ti chiamano per creare un pezzo di piano che ti piace e impieghi un’ora e mezza. Altre volte lavori per settimane su una canzone e non hai idea di cosa fare. Nel comporre musica per un film può andare tutto liscio, come nel caso di Neil Young che ha scritto una grande colonna sonora (Dead man, ndr) improvvisando una sola volta in studio sopra le immagini. Oppure possono essere lacrime e sangue, come nelle sonorizzazioni di Hans Zimmer dove ogni dettaglio viene visto e rivisto e sono coinvolti migliaia di musicisti e operatori. L’arte può essere autocratica a livello di decisioni, che nel cinema non spettano al regista ma ai produttori. È un lavoro che richiede tempo e risorse, per cui non voglio spingermi troppo in quella direzione, mi bastano i dischi e i live. Se però dovesse arrivare un altro progetto intimo al momento giusto, come Victoria di Sebastian Schipper nel 2014, lo coglierei.

Vecchi amici, nuovi amici. Che qualità deve avere un amico di Nils Frahm?
Può essere una persona caratterialmente simile a me, oppure l’opposto. Deve condividere i miei valori, essere leale e di fiducia. Deve avere buon cuore e la scintilla negli occhi. Deve guardarti negli occhi.

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