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Travolto dai ritmi frenetici della vita, dalle sue urgenze lavorative o ricreative, l’uomo moderno sembra avere smarrito il senso del silenzio contemplante.
Vivere in modo fecondo e non artificiale la solitudine,
riguadagnare in profondità l’antico senso greco della
contemplazione silenziosa sembra diventato per l’uomo d’oggi un
compito davvero arduo, se non strutturalmente proibitivo, salvo che
non si diventi consapevoli del vuoto” rumore del mondo”.
Questo non significa vivere al di fuori del proprio tempo,
bensì trovare, al suo interno, nuove modalità di
stare al mondo; vivere, insomma, nell’età della tecnica, nei
suoi vertiginosi ritmi esistenziali, ritagliandosi spazi
d’arricchente silenzio contemplante, con cui riscoprire, anche
nell’assordante rumore delle “città-officine”, il valore
della solitudine: quella vera, interiorizzata.
La solitudine propria di chi sa coniugare in modo esemplare
l’agire, il fare con il vedere dell’anima.
Come recitano alcuni stupendi versi di Kavafis:
” E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo per quanto sta in te:
non sciuparla nel troppo commercio con la gente
con troppe parole e in un viavai frenetico”.
Anche se non riusciamo a realizzare pienamente quello a cui
aspiriamo, a causa della nostra umana finitezza, o anche delle
inevitabili selezioni professionali, affettive della vita,
sospendiamo per un attimo il nostro quotidiano rapporto con il
“rumore del mondo”, il nostro “viavai frenetico”, per contemplare
le cose con distacco, facendo degli “occhi dell’anima” gli organi
privilegiati con cui guardare attività lavorative, volti,
sentimenti, piazze, città in modo diverso, più umano
ed umanizzante.
Come insegnava Platone, occorre tornare alla Forma, ovvero a
scorgere nelle cose l’impronta originaria del Bene e del Bello.
Il “rumore” delle officine, imposto dalla tecnica e finalizzato
solo all’utilità, all’efficienza, copre consapevolmente il
nostro desiderio di silenzio e contemplazione, poiché chi
contempla non è più funzionale alla
produttività tecnologica.
Tuttavia, una volta sperimentata la Forma, la contemplazione
silenziosa del Bene e del Bello , nessuno tornerà al suo
inevitabile “vivere tecnologico” come era prima, bensì con
una tale quantità d’oro della sapienza, che potrà
sopportare serenamente ogni “rumorosa” imposizione da parte di
coloro che vedono nella produttività della tecnica l’unica
modalità di stare al mondo.
Fabio Gabrielli
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