
Un concentratore solare permette di rendere il fotovoltaico trasparente. Le possibilità di impiego diventano innumerevoli. Dalle finestre fino agli smartphone.
I ricercatori di tutto il mondo c’hanno lavorato per anni, ma solo oggi si è arrivati ad una tecnologia pronta per essere industrializzata. E questo grazie agli studi condotti dall’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con il Los Alamos National Laboratory, uno degli istituti di ricerca americani più importanti. Grazie ad un particolare additivo composto
I ricercatori di tutto il mondo c’hanno lavorato per anni, ma solo oggi si è arrivati ad una tecnologia pronta per essere industrializzata. E questo grazie agli studi condotti dall’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con il Los Alamos National Laboratory, uno degli istituti di ricerca americani più importanti.
Grazie ad un particolare additivo composto da nanoparticelle, si possono realizzare delle speciali lastre di plexiglass che una volta inserite nelle vetrate degli edifici, le trasformano in concentratori solari capaci di produrre energia elettrica rinnovabile.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Photonics con il titolo “Large-area luminescent solar concentrators based on ‘Stokes-shift-engineered’ nanocrystals in a mass-polymerized PMMA matrix (doi: 10.1038/NPHOTON.2014.54)”.
Nulla viene sprecato. La tecnologia messa a punto da Francesco Meinardi e Sergio Brovelli, permette di realizzare dei dipositivi con incorporati i cosidetti cromofori, ovvero particelle otticamente attive in grado di assorbire la luce e successivamente ri-emetterla. Un po’ come accade per le fibre ottiche.
Fino ad oggi lo scoglio da superare era quello delle dimensioni: i concentratori solari funzionavano solo in laboratorio, a causa del fatto che i cromofori standard riassorbivano gran parte della loro stessa fluorescenza. Questo processo, noto appunto come “ri-assorbimento”, comporta che la luce emessa da un cromoforo sia ri-assorbita dal cromoforo successivo cosicché la sua intensità diminuisce progressivamente, fino ad azzerarsi.
I due scienziati, grazie alla collaborazione del professor Victor I. Klimov del Los Alamos National Laboratory, hanno messo a punto nuovi nanomateriali dove una particella funge da involucro per una seconda nanoparticella ancora più piccola, in una struttura che ricorda un nocciolo ricoperto dal suo guscio.
“L’enorme vantaggio di questi sistemi – spiega Francesco Meinardi – è che permettono di disaccoppiare i processi di assorbimento e di emissione della luce: l’assorbimento avviene nel guscio che immediatamente trasferisce l’energia accumulata al nocciolo da cui avviene l’emissione luminosa. Siccome il guscio è trasparente all’emissione del nocciolo, la fluorescenza può propagare senza perdite per distanze molto lunghe, permettendo di realizzare dispositivi di grandi dimensioni nell’ordine di migliaia di centimetri quadrati e quindi utilizzabili in contesti architettonici reali”. Ai lati della struttura, che può essere una finestra o una vetrata, sono poste le celle fotovoltaiche che catturano la luce e la trasforma così in energia elettrica.
Sergio Brovelli specifica che: “Con questi nano-materiali, non più soltanto i tetti ma tutte le parti di un edificio possono diventare pannelli solari, incluse finestre e facciate, favorendone l’auto-sostenibilità. Ad esempio, per un grattacielo di gradi dimensioni, come quello della Regione Lombardia, se utilizzassimo per tutte le vetrate dei concentratori solari luminescenti, si potrebbe produrre energia pari alla potenza installata in decine di appartamenti”.
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