Serena Giacomin, meteorologa, climatologa e presidente di Italian climate network, spiega le potenzialità e i limiti della meteorologia.
Quanto influisce la pressione umana sui cambiamenti meteo
Nuove prove confermano l’influenza della pressione umana sui cambiamenti climatici. Lo studio si è basato su 50 anni di dati raccolti dal Ncep
Una questione da sempre molto dibattuta dai climatologi di tutto il mondo. Se, infatti, da una parte è provato che alcuni eventi estremi come le alluvioni sono più frequenti negli ultimi anni, dall’altra è molto difficile capire come e quanto questi fenomeni siano riconducibili all’attività antropica.
Lo studio anglo-canadese è basato sulla pressione atmosferica
E’ stata proprio questa difficoltà a spingere un team di ricercatori anglo-canadese (School of Earth and Ocean Sciences della University of Victoria, Canadian Centre for Climate Modelling and Analysis e Hadley Centre for Climate Prediction and Research) a trovare un modo alternativo per capire se e quanto l’inquinamento umano sia in grado di modificare in modo sostanziale il clima. Invece di tenere d’occhio le variazioni della temperatura della superficie terrestre (il dato principale per controllare i cambiamenti climatici) gli scienziati hanno provato a osservare gli sbalzi della pressione atmosferica. E i risultati dello studio, pubblicato nell’ultimo numero di Nature, hanno evidenziato che negli ultimi 20 anni gli inverni nella zona sud-occidentale europea dell’Oceano Atlantico (Spagna, Portogallo, Francia centro-meridionale) sono stati sempre più miti e con un minor numero sia di precipitazioni nevose che piovose. Il tutto sarebbe riconducibile all’inquinamento umano e ai suoi prodotti, come i gas serra.
“Per arrivare a queste conclusioni”, spiega Luca Mercalli, presidente della Società italiana di meteorologia, “i ricercatori hanno analizzato tutte le configurazioni meteorologiche dal 1948 al 1998 dello statunitense National Centers for Environmental Prediction (Ncep). Un aspetto che sottolinea come la condivisione dei dati tra più enti di ricerca permetta di arrivare a dei buoni risultati come quelli di questo studio”.
Come si è svolto lo studio
Andando indietro nel tempo, i ricercatori hanno cercato di capire quando l’inquinamento umano abbia iniziato a influire sul clima di questa zona dell’Atlantico. In primo luogo, i disegni del Ncep sono stati trasformati in una banca dati numerica. Dopodiché a questa sfilza di numeri e simboli sono stati applicati diversi modelli matematici di simulazione. Alcuni escludevano i fattori inquinanti dovuti all’attività umana, altri riportavano la situazione reale nei 50 anni presi in considerazione. Confrontando i risultati ottenuti con i due tipi di modelli, il team ha potuto stabilire che dal 1978 fino alla fine del XX secolo l’aumento della pressione atmosferica dell’Atlantico orientale nel periodo dicembre-febbraio è stata determinata dall’inquinamento prodotto dall’essere umano. “Una maggiore pressione atmosferica”, continua Mercalli, “porta nella zona in questione un periodo più lungo di anticiclone. Questo si trasforma generalmente in buone condizioni meteo, caratterizzate da temperature tiepide e da minori precipitazioni”.
I risultati dello studio, insomma, aggiungono un tassello importante alla comprensione del comportamento degli eventi atmosferici e delle loro cause. E soprattutto dimostrano ancora una volta che l’inquinamento gioca un ruolo importante nelle variazioni del clima. “Anche se resta da capire quanto l’attività umana sia in grado di condizionare questi cambiamenti”, conclude Mercalli. “La situazione, infatti, è paragonabile a quella di un fumatore che si ammala di cancro ai polmoni. Se, infatti, i medici sanno che il fumo può essere stata una causa della malattia, nessuno può dire con assoluta certezza che non fumando quella stessa persona non sarebbe stata colpita dal tumore”.
Fonte: Galileo, Giornale della scienza e problemi globali
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