La Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere e la violenza domestica compie 10 anni. Cos’è, quali paesi ne fanno parte e che futuro ha.
Tutti i paesi devono far parte della Convenzione di Istanbul, le parole di Ursula von der Leyen
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha ricordato quanta violenza ci sia ancora contro le donne nel mondo e l’importanza assoluta della Convenzione di Istanbul.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen durante una sessione plenaria del Parlamento europeo il 26 aprile ha parlato dell’episodio accaduto durante la sua visita in Turchia insieme al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, quando al loro arrivo, accolti dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, si è ritrovata senza sedia. Per lei, non si è trattato né di organizzazione né di protocollo: ma di una questione di genere.
La Convenzione di Istanbul deve essere adottata da tutti i paesi
Von der Leyen ha usato il suo episodio per portare alla luce ciò succede ogni giorno in tutto il mondo alle donne, ovvero discriminazione, violenza e mancanza di un trattamento equo. Purtroppo, però, troppi episodi di violenza – psicologica o fisica – non vengono riportati, e quindi non si fa nulla a riguardo. Per questo motivo Von der Leyen ha sottolineato l’importanza della Convenzione di Istanbul, la convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, adottata dieci anni fa, l’11 maggio 2011.
Considerata la situazione critica dei diritti per le donne in alcuni paesi, che addirittura hanno lasciato la Convenzione (come la Turchia) o stanno pensando di lasciarla (come la Polonia), Von der Leyen ha affermato che l’adesione di tutti i paesi europei a questo trattato internazionale vincolante rimane una priorità per l’Unione e che verranno avanzate leggi per allargare la lista di reati, come i crimini d’odio, affinché qualsiasi forma di violenza venga prevenuta, condannata e perseguita.
Il discorso integrale di Ursula von der Leyen sulle donne e la violenza, tradotto in italiano
“Sono la prima donna ad essere presidente della Commissione europea ed è come mi aspettavo di essere trattata quando ho visitato la Turchia qualche settimana fa. Come il presidente di una commissione. Ma non è stato così. Non riesco a trovare nei trattati europei giustificazioni per come sono stata trattata. Quindi devo concludere che è successo perché sono una donna. Questo sarebbe accaduto se avessi indossato giacca e cravatta? Nelle foto di incontri precedenti non ho visto alcuna mancanza di sedie. Ma non ho visto neanche delle donne in queste foto. Cari membri, molti di voi avranno avuto esperienze simili in passato, in particolare le donne in questa camera. Sono sicura che sappiate esattamente come mi sono sentita. Ferita, sola, come donna e come europea.
Perché non è una questione di disposizione dei posti a sedere o di protocollo. È una questione che va al cuore di chi siamo. Sono i valori in cui crede la nostra Unione. E questo ci mostra quanto ancora ci manca prima che le donne verranno trattate in modo equo, in ogni momento e in ogni luogo. So di trovarmi in una posizione privilegiata.
Sono la presidente di un’istituzione che è rispettata in tutto il mondo. E ancora più importante, come leader, io posso parlare e far sentire la mia voce. Ma cosa succede a milioni di donne che invece non possono? Donne di cui si sente parlare ogni giorno in ogni angolo del mondo ma non hanno né il potere né la posizione per dire la propria. Quando sono arrivata all’incontro c’erano le telecamere. Grazie a queste quel video del mio arrivo è diventato virale e ogni giornale ne ha parlato. Non c’era bisogno di sottotitoli né traduzioni. Le immagini parlavano da sole. Ma sappiamo che migliaia di incidenti simili, e molto più gravi, non vengono notati. Nessuno li vede o ne sente parlare. Perché non ci sono telecamere, perché non c’è nessuno che ci fa attenzione. Dobbiamo assicurarci che anche queste storie vengano raccontate. E che quando vengono raccontate, si agisca a riguardo”.
La Convenzione di Istanbul è uno strumento importante. A maggio saranno dieci anni dalla sua firma. È un testo legale rivoluzionario e un documento poderoso. È il primo strumento internazionale vincolante che ha ampio approccio per combattere la violenza contro le donne e i bambini. La Convenzione vieta la violenza psicologica, le molestie sessuali e lo stalking. E bandisce la violenza domestica.
È inutile dirvi quanto sia importante, specialmente ora in tempi di pandemia. Ho usato la mia presenza ad Ankara per ripetere la mia grande preoccupazione sul fatto che la Turchia si sia ritirata dalla Convenzione. Il ritiro di uno dei paesi fondatori del Consiglio d’Europa è un segnale terribile. Per essere credibili, però, non possiamo solo criticare gli altri. Per essere credibili, dobbiamo anche agire per primi.
Diversi Stati membri non hanno ancora ratificato la Convenzione mentre altri stanno pensando di lasciarla. Questo non è accettabile. Ogni forma di violenza contro donne e bambini è un crimine. E dobbiamo definirlo tale, un crimine. E deve essere punito in quanto tale. Per questo motivo voglio che l’Unione Europea in quanto tale aderisca alla Convenzione di Istanbul. Questa è una priorità per la mia Commissione.
Ma dato che è in stallo al Consiglio, entro la fine dell’anno presenteremo misure alternative. Porteremo avanti una legge per prevenire e combattere la violenza contro donne e bambini offline e online e, come secondo punto, proporremo di estendere la lista di crimini europei indicati nel trattato per includere tutte le forme di crimini d’odio. Perché l’Europa deve mandare un messaggio forte, che i crimini d’odio non sono accettabili. Perché dobbiamo assicurarci che le donne e le ragazze siano protette in modo adeguato ovunque in Europa. Perché quello che ha detto la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris di recente alle Nazioni Unite è vero. “La condizione delle donne è la condizione della democrazia”.
E a volte mi stupisco che dobbiamo persino parlare di una cosa così evidente nel 2021. Che dobbiamo ancora sottolineare il fatto che in tutta Europa le persone debbano avere gli stessi diritti e opportunità in modo equo, a prescindere da chi amano, da dove vengono, da quanti anni hanno e quale fede seguono. Questa è l’Unione in cui credo, un’Unione che rispetta il suo motto: “Uniti nelle diversità”. Per me queste tre parole hanno sempre espresso una promessa solenne, a casa e all’estero, oggi e in futuro. Lunga vita all’Europa”.
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