Death in waiting. Questo il titolo dello scatto di Pietro Formis, fotografo e documentarista, premiato allo scorso Wildlife photographer of the year. Questa foto mostra un pesce prete, piuttosto comune nel nostro mare, nell’atto di aspettare la sua preda. Un’immagine terrificante, che però ci ricorda anche la ricchezza del nostro Mediterraneo.

È proprio parlando di questo scatto che abbiamo iniziato l’intervista a Formis, incontrato a Ecomondo, fiera internazionale dell’economia circolare, in occasione della presentazione della Water defenders alliance, la prima alleanza tra imprese, porti, istituzioni, enti di ricerca, singoli cittadini impegnati nella difesa delle nostre acque.

Pietro Formis. Rappresentare il brutto per difendere il mare

Con lui, abbiamo parlato dell’aiuto concreto che può fornire la fotografia per capire meglio il nostro mare e per affrontare le sfide di questo secolo. Secondo Formis, ci sono cose che i fotografi naturalisti tendono “a non rappresentare. Di solito si cerca di esaltare la bellezza. Tante volte però è difficile e l’esercizio è quello di escludere un sacco di elementi di disturbo umani, come rifiuti di qualsiasi tipo”.

“La seconda minaccia sicuramente è quella di depauperamento dei nostri mari, dovuto a un eccesso di pesca. La terza è anche quella legato ma i cambiamenti climatici: sono tantissimi gli organismi che vivono a certe profondità a certe temperature che stanno soffrendo in maniera incredibile. La sensazione è quella di essere l’ultima generazione in grado di vedere quelle cose”.

La soluzione, per Formis, è mostrare tutto, anche il “brutto” del mare. Anche i rifiuti, anche l’inquinamento. Perché fare fotografia naturalistica oggi significa anche mostrare le minacce che riguardano il mare, perché solo così si genera consapevlezza e si incentiva la voglia di difendere le nostre acque.