Vinicio Capossela – Marinai, profeti e balene

Dopo il maestoso Ovunque proteggi pensavamo di aver sentito (quasi) tutto, e invece non è così. Marinai, profeti e balene apre un nuovo capitolo della saga caposseliana, e lo fa con l’orgoglio di chi si è finalmente liberato dalle maglie troppo strette dell’industria discografica – La Cupa è infatti la società che produce e gestisce

Dopo il maestoso Ovunque proteggi pensavamo di aver sentito (quasi)
tutto, e invece non è così. Marinai, profeti e balene
apre un nuovo capitolo della saga caposseliana, e lo fa con
l’orgoglio di chi si è finalmente liberato dalle maglie
troppo strette dell’industria discografica – La Cupa è
infatti la società che produce e gestisce le edizioni
musicali del cantautore, mentre a Warner rimane solo un ruolo di
distribuzione – e si butta con gioia in un nuovo lavoro senza
regole prestabilite. Quello che ne esce è, in effetti, un
“prodotto” musicale atipico: un concept album doppio di canzoni
nuove (tranne Polpo d’amor, già comparsa in un disco dei
Calexico), una vera rarità per il mercato discografico
odierno. E il primo approccio con questa enorme Balena Bianca
intimidisce e lascia piacevolmente storditi.

Il tema del mare è presente nelle suggestioni sonore di
Capossela da molto tempo: pensiamo a una canzone come S.S. dei
Naufragati – sorella della qui presente Madonna delle conchiglie –
comparsa su disco per la prima volta in Matri mia di Banda Ionica
(2002) e successivamente in Ovunque proteggi (2006). E poi non
dimentichiamo gli spettacoli liguri della primavera del 2008, dove
per la prima volta Vinicio porta in scena letture e canzoni a tema
marinaresco – l’evento si intitolava Storie di marinai, profeti e
balene – da cui, per sua stessa ammissione, è scaturita
l’idea iniziale di questo disco. Vinicio, insomma, è partito
da lontano, raccogliendo indizi un po’ per volta, fino a buttarsi
in mare aperto nell’impresa – per continuare la metafora – da un
paio d’anni a questa parte. Il disco si divide idealmente in due
parti: la prima è dedicata alla Balena Bianca e all’oceano,
mentre la seconda alle imprese di Ulisse e quindi viene
circoscritta, per molti aspetti, alle coste del Mediterraneo.

Prima di tutto, si tratta di un disco pieno zeppo di riferimenti
letterari. Parlare dei contenuti – che vanno da Melville a Conrad,
dal libro di Giobbe all’Odissea, passando per Coleridge,
Céline e Dante – in queste poche righe è riduttivo,
ed è assai meglio lasciare all’ascoltatore il piacere della
scoperta. L’unica opera non citata e forse utile per comprendere
meglio il viaggio nel mito intrapreso è L’ombra di Ulisse di
Piero Boitani (uno dei massimi esperti di mito e racconti biblici a
livello internazionale), un libro che per Vinicio è stato
«come trovare un vero messaggio nella bottiglia» e che
ha dato l’input per le molteplici letture della figura di Ulisse
che troviamo qui.

Per quanto riguarda le musiche, siamo di fronte a un vero e proprio
compendio di generi musicali: dal barocco al blues, la musica
è la vera colonna sonora dell’immaginazione del cantautore,
l’unico strumento capace di catapultarci magicamente da un mondo
all’altro nell’arco di 4 minuti. Inoltre, ci sono almeno due
novità importanti. La prima è la presenza dei cori:
maschili, imperiosi e tragici ne Il grande Leviatano e in Nostos,
baldanzosi ne L’Oceano Oilalà; cori ammiccanti in puro stile
jazz anni 30 in Pryntyl (grazie anche alla presenza delle ironiche
Sorelle Martinetti); e ancora, cori blues che rispondono al grido
disperato del condannato nella fantastica Billy Budd, e un coro
femminile sardo (del teatro Actores Alidos), dalla vocalità
caratteristica, che si adatta perfettamente all’ambientazione
hawaiana di Calipso.

E poi le voci soliste: oltre a quella di Vinicio, sempre più
versatile e ricca di armonici (ascoltate come la usa, ad esempio,
in Vinocolo), compaiono le voci di Psaradonis, guru della musica
cretese dal timbro profondissimo, e di Daniel Melingo, artista
argentino che recita la parte di Ismaele ne I fuochi fatui
(liberamente tratto da Moby Dick).

La seconda novità è la quasi completa assenza della
batteria (unica eccezione, Job), sostituita da una grande
quantità di percussioni più o meno ortodosse –
strumenti etnici come marimbe, tamburelli e kalimba, ma anche
catene e piatti – che mettono in risalto la funzione ritmica di
altri strumenti chiave come il contrabbasso, suonato qui da tre
musicisti d’eccezione: Ares Tavolazzi, Giuseppe Ettorre (primo
contrabbasso dell’Orchestra della Scala) e Greg Cohen. Poi ci sono
anche strumenti che compaiono per la prima volta in un disco di
Capossela: le nobili Ondes Martenot, l’arpa e le ondioline
(strumento elettronico degli anni 40, precursore del moderno
sintetizzatore), per non parlare della mastodontica Orquestra
Mecànica dei CaboSanRoque (I fuochi fatui, Goliath).
Insomma, un’architettura musicale ricchissima e complessa, che ha
fatto la felicità dell’arrangiatore Stefano Nanni, del
coproduttore Taketo Gohara e degli altri (numerosi) musicisti che
hanno suonato in questo lavoro.

Che altro aggiungere? Marinai, profeti e balene è un disco
davvero importante, che necessita di attenzione e tempo per essere
apprezzato in tutte le sue sfumature. È un disco sulla vita
e sul senso dell’esistenza e, come tale, sfida a entrare dentro noi
stessi, a pensare e a cercare. Non è un’impresa facile, ma
nessuno ha mai detto che lo sia. Buon ascolto. Anzi, buon
viaggio.
Vanna Lovato

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