Perché i francesi protestano da mesi contro il loro Jobs act

La riforma del lavoro voluta dal governo socialista in Francia sta suscitando forti proteste, anche violente. Ecco cosa prevede.

Si chiama “loi El Khomri”, dal nome della deputata socialista che ne è relatrice. O più semplicemente “loi Travail”, legge sul lavoro. È il Jobs act ideato dal governo francese, che sta suscitando un’ondata di veementi proteste in decine di città transalpine. Da Parigi a Lione, da Nantes a Marsiglia, la mobilitazione di sindacati, associazioni e cittadini dura ormai da settimane. Secondo i sondaggi, la maggioranza assoluta della popolazione è infatti contraria alla nuova norma.

Il governo scavalca la discussione in Parlamento

E a rendere ancor più tesa la situazione è arrivata, il 10 maggio, la decisione del primo ministro Manuel Valls di ricorrere all’articolo 49-3 della Costituzione francese. Esso consente al governo di bypassare del tutto la discussione parlamentare: la legge in queso caso viene infatti approvata senza che i deputati possano dibattere in Aula, né tantomeno proporre emendamenti.

 

 

Le conseguenze politiche della scelta di forzare la mano non si sono fatte attendere. L’opposizione di destra ha protestato con fermezza. Ma anche la minoranza interna al partito socialista – i cosiddetti “frondisti” – ha considerato il gesto di Valls come la goccia che ha fatto traboccare il vaso. L’ala sinistra del partito aveva infatti già digerito a fatica numerose scelte del governo ed in particolare del ministro dell’Economia Emmanuel Macron.  

 

La sinistra tenta di rovesciare il governo

Così i frondisti sono arrivati a tentare di mettere assieme le 58 firme necessarie per presentare una “mozione di censura” – l’equivalente della “mozione di sfiducia” in Italia – contro il governo. Che, se approvata, lo avrebbe fatto cadere. Si sono fermati a 56, ma il messaggio politico è stato chiaro. Così come quello che arriva dalla piazza, con manifestazioni sempre più dure. E anche dalla Rete: una petizione online ha superato in pochi mesi il milione e 330mila firme.

 

 

Ma cosa prevede la “loi travail”? Le novità introdotte dal provvedimento sono molte. Si comincia con la durata legale dell’orario di lavoro settimanale, che è fissata a 35 ore. Il testo la conferma, ma apre alla possibilità di accordi interni alle imprese, in deroga a quelli nazionali. A condizione che a firmarli siano almeno il 50 per cento dei rappresentanti dei lavoratori.

 

Più ore di lavoro, straordinari pagati meno

Inoltre, la durata massima della giornata lavorativa è aumentata da 10 a 12 ore. Mentre il costo degli straordinari potrà essere fissato dagli stessi accordi interni alle aziende, con un tasso di maggiorazione minimo pari al 10 per cento, contro l’attuale 25 per cento.

Gli stessi accordi interni consentiranno poi di superare i contratti nazionali anche per quanto riguarda i premi, che potranno essere soppressi unilateralmente. E i lavoratori che si rifiuteranno di firmare potranno essere licenziati.

 

Licenziamenti più facili e tetti ai risarcimenti

Il progetto di legge permette inoltre alle imprese di “aggiustare” la propria forza lavoro in ragione delle esigenze del mercato. Basterà un calo “significativo degli ordinativi o del fatturato” rispetto all’anno precedente per poter applicare i licenziamenti economici. Un solo trimestre di ribasso, ad esempio, sarà sufficiente per le piccole imprese (fino a undici dipendenti), mentre per quelle di oltre trecento serviranno quattro trimestri consecutivi.

 

Ma soprattutto, punto che ha fatto trasalire i sindacalisti, la legge El Khomri indica dei parametri in termini di indennità per coloro che sono stati licenziati senza giustificato motivo. In pratica, ad esempio, chi lavora da vent’anni in un’azienda e viene mandato via senza una ragione concreta, potrà ricevere un risarcimento non superiore ad un anno di stipendio. E il giudice avrà molta meno voce in capitolo. Un tappeto rosso verso la precarietà, hanno tuonato i rappresentanti dei lavoratori.

 

Il sindacato: blocchiamo le raffinerie

Contro tale cambiamento profondo del codice del lavoro francese, quasi ogni giorno vengono organizzati scioperi, manifestazioni e sit-in in tutto il paese. Non di rado, passeggiando per le strade delle città transalpine si notano cartelli di protesta appesi alle finestre.

A Parigi numerosi cortei sono sfociati in scontri tra i manifestanti e la polizia (benché i servizi d’ordine dei sindacati abbiano tentato di bloccare i facinorosi, che agiscono in autonomia). Nonostante ciò, il governo tira dritto e dichiara di non voler modificare la norma. La Cgt, il principale sindacato francese, ha perciò deciso di alzare il tiro,  lanciando un appello ai lavoratori affinché blocchino le raffinerie.

 

La richiesta è stata già accolta in due siti presenti a Le Havre, in Normandia, nonché ai terminal petroliferi del porto de La Rochelle. Nella serata di ieri, anche il deposito di carburanti di Douche-les-Mines è stato bloccato. E nel nord-ovest del paese già una settantina di stazioni di servizio della Total hanno fatto sapere di essere ormai prive di benzina e gasolio.

 

Immagine di apertura tratta da Twitter.

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