Francia, se non ci riesce l’euro, ci pensano le monete locali a favorire l’ambiente

Sono più di trenta le monete locali e complementari francesi. Ora uno studio dice che possono fare bene all’ambiente. E in Italia?

In Italia, quando si parla di monete locali, si rischia nel migliore dei casi di passare per antieuropeisti, nel peggiore per cospirazionisti da tastiera. In Francia invece, lo Stato le ritiene “uno strumento interessante per far evolvere i comportamenti”. E’ questo il risultato di una ricerca pubblicata a fine gennaio dall’Agence de l’environnement et de la maîtrise de l’énergie (Ademe), il braccio operativo del ministero dell’Ambiente francese.

Oltre trenta “banconote militanti”

Nel 2011, in piena crisi economica,  una sorta di febbre monetaria si è impossessata della Francia: decine di monete locali sono spuntate come funghi ai quattro angoli del paese. Oggi se ne contano più di trenta, dai nomi uno più fantasioso dell’altro (L’Occitan, Le Miel, La Mesure, il Déodat, Les Lucioles, l’Abeille…) e non passa mese senza che si annunci la creazione di una nuova moneta locale. Tutte puntano a stimolare consumi locali e sostenibili, incoraggiando i portatori a spendere presso commercianti e aziende che si impegnano a ridurre la loro impronta ecologica, praticare un commercio equo e solidale, rispettare i diritti dei lavoratori. Di carta o virtuali,  sono generalmente dette “complementari” per intendere che non sono create per soppiantare l’euro ma per circolargli affianco. La maggior parte sono nate da gruppi di cittadini interessati a promuovere pratiche di vita e consumo alternative ma sempre più amministrazione locali si sono messe a battere moneta, specie dopo che la legge sull’economia sociale, firmata nel luglio del 2014 dall’attuale candidato socialista alla presidenza, Benoît Hamon, ne ha legittimato la circolazione.

Monete locali, la carota è meglio del bastone

Le monete locali nascono anzitutto per sostenere l’economia locale sulla base di un ragionamento piuttosto semplice. Quando si spendono soldi in una catena, il denaro dei consumatori finisce nelle casse della società che si possono trovare a centinaia di chilometri di distanza, persino in un paradiso fiscale. Se invece la moneta circola solo all’interno di una comunità, allora la ricchezza resta “intrappolata” al suo interno. Molte associazioni all’origine di monete locali le utilizzano anche per incoraggiare i cittadini a preferire i commercianti selezionati sulla base del loro impegno in favore dell’ambiente. Oppure per ricompensare chi adotta comportamenti ecologici come fare car pooling o occuparsi del verde pubblico. Per questo nel suo rapporto  l’Ademe afferma che le monete locali “possono costituire uno strumento perenne per sensibilizzare gli attori e orientare i loro comportamenti in funzione degli obiettivi ambientali che si vogliono perseguire”. Per Valérie Weber-Haddad, economista autrice della ricerca, le monete possono essere un’alternativa alle tasse e alle norme imposte perché, “sono rette dall’adesione a valori comuni e dal volontariato”. Proprio per questo l’Ademe vorrebbe, pur nel rispetto della loro autonomia, aiutare le monete esistenti a rafforzare la loro vocazione ecologista.

In Italia, le monete locali non hanno ancora scoperto l’ecologia

Come altri paesi mediterranei, l’Italia è stata in passato terreno favorevole per i cosiddetti sistemi di scambio locale, da noi conosciuti sotto il nome di Banche del Tempo. Ma esistono o sono esistite anche vere e proprie monete in Italia, in qualche caso molto simili a quelle francesi. Come ad esempio l’EcoAspromonte, creato nel 2004 all’interno del Parco Nazionale dell’Aspromonte o il Mineo, distribuito nel 2011 dall’allora sindaco di Riace ai tanti rifugiati che la città accoglieva per anticipare i fondi promessi dal governo. Entrambe le iniziative sono però durate poco. Due sole iniziative hanno attecchito nel nostro paese. Lo Scec, un buono di riduzione distribuito gratuitamente agli aderenti per sostenere il loro potere d’acquisto. Nato a Napoli nel 2007, lo Scec conta oggi di 25.000 fruitori in 12 regioni. Altro successo, quello del Sardex, un circuito di credito commerciale nato nel 2009 in Sardegna – e oggi diffuso in molte altre regioni d’Italia – in cui le imprese aderenti scambiano virtualmente debiti e crediti. Focalizzate sugli aspetti economici, né una né l’altra iniziativa hanno a cuore la sostenibilità ambientale.

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