Investimenti sostenibili

Ogni scelta ha un impatto ambientale, investimenti compresi. Ridurlo è possibile

Investimenti e cambiamento climatico: due mondi che all’apparenza sembrano agli antipodi, ma in realtà sono legati a doppio filo. Perché ogni nostra scelta può porre un piccolo tassello per la tutela del pianeta: dal cibo che mangiamo, ai mezzi con cui ci spostiamo, ai negozi in cui facciamo acquisti, fino al modo in cui impieghiamo i

Investimenti e cambiamento climatico: due mondi che all’apparenza sembrano agli antipodi, ma in realtà sono legati a doppio filo. Perché ogni nostra scelta può porre un piccolo tassello per la tutela del pianeta: dal cibo che mangiamo, ai mezzi con cui ci spostiamo, ai negozi in cui facciamo acquisti, fino al modo in cui impieghiamo i nostri risparmi. Se ne è discusso a Milano, nel corso della Settimana SRI.

Perché i cambiamenti climatici sono un rischio finanziario

I cambiamenti climatici minacciano l’equilibrio degli ecosistemi, la qualità della nostra vita, la sopravvivenza di specie animali e vegetali. E – nonostante non lo si sottolinei abbastanza – anche gli investimenti. Sono state individuate cinque tipologie di rischio:

  • Rischio ambientale. Gli eventi climatici estremi possono distruggere edifici e infrastrutture, inaridire i terreni, far crollare la disponibilità delle materie prime.
  • Rischio tecnologico. Le aziende devono attivarsi in fretta per sviluppare nuove tecnologie in grado di supportare un’economia a minore impatto; al contrario, sono destinate a rimanere drammaticamente indietro. Trascinando nel baratro i capitali dei loro investitori.
  • Rischio legale. I governi di tutto il mondo si stanno attivando per il clima. E questo, per le aziende, spesso si traduce in costi vivi. L’esempio più chiaro è quello dei cosiddetti stranded assets. Se si manterrà la promessa di contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 gradi centigradi, non si potrà bruciare una quota compresa tra il 60 e l’80 per cento delle riserve di combustibili fossili delle imprese quotate in borsa. Se l’obiettivo verrà abbassato a 1,5 gradi centigradi, la percentuale supererà il 90 per cento. Di conseguenza, i titoli delle società petrolifere potrebbero perdere gran parte del loro valore. E, con loro, i portafogli dei loro investitori. La soluzione è giocare d’anticipo: imprese e istituzioni devono ridurre il proprio impatto ambientale prima che sia una legge a obbligarlo.
  • Rischio reputazionale. Pensiamo a BP o Volkswagen, marchi un tempo forti e solidi, che si sono letteralmente sgretolati per scandali legati all’ambiente. E pensiamo alle clamorose perdite per chi li aveva scelti per i propri investimenti.
  • Rischio sociale. Secondo l’Unep, entro il 2050 ci saranno 200-250 milioni di rifugiati ambientali nel mondo. Stiamo parlando di persone che devono scappare dal proprio paese d’origine, per siccità, inondazioni, eventi meteorologici estremi. Anche i più fortunati, pur non essendo costretti a emigrare, dovranno comunque fare i conti con l’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute. Tutto ciò imporrà di ripensare il sistema di welfare ed elaborare nuovi sistemi economici, finanziari e assicurativi.
Rischio del fallimento delle politiche sul cambiamento climatico
Per la prima volta, tra i rischi più rilevanti viene inserita anche l’eventualità di un fallimento delle politiche sul clima. Fonte: The Global Risks Report 2016. 11th Edition (World Economic Forum)

Come si misura l’impatto ambientale degli investimenti

Se le aziende che non si attrezzano contro il cambiamento climatico sono destinate a pagarne il conto a livello finanziario, è bene cercare di tutelare i propri investimenti. La maggior parte degli investitori si impegna a fare il calcolo delle tonnellate di Co2 emesse dalle società che fanno parte del proprio portafoglio. Il metodo più comune è quello degli Scope:

  • Lo Scope 1 comprende le emissioni che derivano da fonti di proprietà dell’impresa in oggetto o direttamente controllate da essa (come i combustibili fossili usati per riscaldare gli edifici).
  • Lo Scope 2 include le emissioni connesse con l’energia che l’impresa acquista (è dunque qualcun altro a bruciare i combustibili fossili).
  • Lo Scope 3 ingloba le emissioni connesse a tutte le altre attività dell’azienda: mobilità dei dipendenti, catena di fornitura, utilizzo dei beni prodotti e così via.

Negli accordi internazionali si fa quasi sempre riferimento allo Scope 1. Per giunta, con gli altri due Scope entra in gioco il problema del doppio conteggio: le emissioni che rientrano nello Scope 2 o 3 di un’azienda, infatti, saranno nello Scope 1 di un’altra. Ma l’impatto ambientale non inizia e finisce con la Co2: ci sono anche l’impronta idrica, la deforestazione, l’impronta ecologica. La questione, insomma, è complessa. E in molti stanno lavorando per trovare un metodo di calcolo che sia attendibile e “a tutto tondo”.

misurare impatto ambientale degli investimenti
La metodologia dei tre Scope, per misuare l’impatto ambientale degli investimenti. Fonte: Finanza sostenibile
e cambiamento climatico

Tutti i modi per ridurre l’impatto ambientale

Dopo aver misurato l’impatto ambientale del proprio portafoglio di investimenti, è il momento di fare qualcosa per ridurlo. Le strategie sono tre.

Engagement. Parlare con le aziende spesso è il primo passo; l’approccio prende il nome di soft engagement. Con l’hard engagement, invece, l’intervento si fa più deciso: l’investitore presenta mozioni e interviene all’assemblea degli azionisti.

Disinvestimento. In questi ultimi anni, molti investitori hanno scelto di cedere (del tutto o parzialmente) i titoli delle società che operano nel campo dei combustibili fossili. È un processo molto più rapido e “sicuro” rispetto all’engagement, ma bisogna anche dire che quei titoli potranno pur sempre essere acquistati da altri.

Riallocazione. Dopo aver abbandonato i combustibili fossili, si possono spostare i propri investimenti verso altre aziende che favoriscono la transizione verso un’economia low-carbon. Si occupa di questo, ad esempio, l’iniziativa Divest-Invest.

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