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Nel Ghana rurale, quando le donne invecchiano, i segni di demenza o persino i sintomi della menopausa possono farle dichiarare “streghe” e allontanarle dalla loro comunità. Il racconto della fotoreporter Lee-Ann Olwage.
Le apparenze ingannano. Sugri Zenabu siede al centro della foto: maglia gialla e gonna azzurra tie-dye, lo sguardo sospeso, un sorriso abbozzato tra le rughe. Sembra serafica e libera. È una mangazia, cioè una leader del “campo delle streghe” di Gambaga, in Ghana, dove vive reclusa insieme a moltissime altre donne che, come lei, mostrano segni di confusione e perdita di memoria associati alla demenza e per questo sono accusate di stregoneria e confinate nei campi delle streghe.
Con questo scatto, e con gli altri della serie “The Big Forget”, la reporter sudafricana Lee-Ann Olwage si è aggiudicata l’ambito premio del World Press Photo nel 2023: “È una storia sulla perdita di memoria, sulla spiritualità e sulla superstizione che circondano la malattia mentale e sul modo in cui le differenti culture in Africa percepiscono la demenza”.
Il progetto di Lee-Ann offre uno sguardo intimo e personale su temi globali, quali il declino psichico legato all’invecchiamento, i diritti violati dei malati, lo stigma sociale che li colpisce. Non è un caso che il tema della Giornata mondiale della salute mentale 2023, indetto ogni 10 ottobre dall’Organizzazione mondiale della sanità, sia “la salute mentale è un diritto umano universale”.
Oggi 55 milioni di persone nel mondo soffrono di demenza; più del 60 per cento vivono in paesi a basso/medio reddito e ogni anno si registrano dieci nuovi milioni di casi. Una delle cause di questo incremento potrebbe essere anche l’aria inquinata. Questi numeri sono destinati ad aumentare, visto il galoppo dell’invecchiamento della popolazione mondiale.
Molti di questi individui sono esclusi dalla vita comunitaria e discriminati, mentre tanti altri non possono accedere alle cure di cui hanno bisogno o possono accedere solo a cure che violano i loro diritti umani. I “campi delle streghe” nel Ghana del nord ne sono un esempio.
“Ricordo la storia di una donna imprigionata per oltre vent’anni. Camminava di notte, talvolta perdeva i freni inibitori, sosteneva di vedere i suoi genitori, morti molti anni prima. L’hanno accusata di stregoneria, cacciata dal villaggio e portata in un campo”, racconta Lee-Ann. Una manciata di capanne di fango con il tetto di paglia, senza servizi di sorta e con l’acqua potabile lontana chilometri. Una volta arrivate al campo, spesso le donne vengono sottoposte a processi sommari, rituali di purificazione ed esorcismi condotti dai Tindanas (capo-campo o sacerdoti): colpevole o innocente? Lo sancisce il sacrificio del gallo.
“La prima volta che sono stata a Gambaga ho visto pochissimi uomini. Oltre il 90 per cento degli abitanti erano donne, che mostravano sintomi di patologie mentali, della menopausa o della demenza. È un dato di fatto che l’accusa di stregoneria sia anche una questione di genere”. La testimonianza di Lee-Ann inquadra il problema.
Infatti, sebbene sia gli uomini che le donne possano essere accusati di stregoneria, la stragrande maggioranza è costituita da donne, soprattutto anziane. Vedove, donne senza figli o non sposate sono vulnerabili e più esposte, poiché non soddisfano gli stereotipi di genere previsti. Di solito hanno sistemi di protezione sociale deboli, non avendo una una persona influente che le sostenga all’interno della comunità. Questo le rende bersagli facili.
Nel 2011 il governo ghanese ha annunciato che entro un anno avrebbe chiuso i campi delle streghe. Una decisione a cui si sono opposte associazioni come ActionAid, autrice di un report approfondito sui campi. “Sono luoghi controversi”, conferma Lee-Ann, “Nonostante le donne qui vivano recluse ed emarginate dalla vita sociale, tutto sommato si sentono al sicuro e non devono temere per la loro vita. Talvolta si auto-esiliano, perché fuori di stregoneria si muore o si subiscono pesanti violenze. Finalmente, però, si sente parlare di un progetto di reintegrazione chiamato Go Home Project”. L’obiettivo finale è far sì che tutte le donne etichettate come streghe possano lasciare i campi ed essere reintegrate in sicurezza nella società.
Povertà estrema, livelli di istruzione bassissimi e, soprattutto, la mancanza di consapevolezza sulla demenza e sulle altre malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, concorrono ad alimentare lo stigma. Il progresso scientifico non basta: la ricerca va tradotta in strumenti e linguaggi adatti a ciascuna cultura, senza pretendere di resettare credenze millenarie: “Molte delle persone con cui lavoro in Africa si rivolgono a guaritori tradizionali, spirituali e anche alla medicina occidentale. È incoraggiante osservare come questi sistemi di credenze così diversi coesistono e si completano”.
In Ghana, e in Africa, in generale, la combinazione tra scienza e cultura locale, incentrata sulla spiritualità, sembra promettere bene. Serve scavare alla radice del contesto, come ha fatto Lee-Ann: “Mi sono chiesta “dove cerca aiuto chi sta male? Come può ricevere una diagnosi corretta e sfuggire alla discriminazione? È una possibilità remota nelle comunità rurali, dove mancano neurologi e geriatri. Ho scoperto una figura chiave nel processo di diagnosi corretta, di educazione delle famiglie dei malati e quindi di reintegrazione nelle comunità: sono gli infermieri”.
Uno di loro, ad esempio, ha riadattato il questionario standard dei medici per la diagnosi di demenza alla propria comunità: Così invece di chiedere: “Tua madre si perde quando va al supermercato?”, dirà: “Tua madre si perde quando va a prendere l’acqua al fiume?”. Dettagli che salvano vite.
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