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Forest bathing, storie di rinascita personale e di energia benefica degli alberi
Immergersi nei boschi per un bagno di foresta può guarire da ansia, stress e ipertensione. Una terapia green utile anche contro il burnout e il workaholism.
Varcare una soglia. Così Chiara Cenedese, 35enne originaria della provincia di Varese, definisce l’esperienza dell’entrare corpo e mente in un bosco. “È come se accadesse qualcosa di sacro. È come tornare a casa”, dice.
E in effetti per Chiara il rapporto con tutto ciò che è selvatico è stato effettivamente un punto di ritorno: “Volevo essere economicamente indipendente, volevo far carriera”, racconta. “E l’ho fatto: ho fatto dodici anni di multinazionale in ruoli di responsabilità. Ma in città provavo un senso di scoramento, mi sentivo dissociata. Dopo un grande esaurimento nervoso, con tanto di foglio della psichiatra con sei mesi di malattia, ho deciso di tornare a contatto con la natura. È stata la mia salvezza”.
Anche Massimiliano Corrà, 53 anni originario del Trentino, racconta di un vissuto analogo. Dopo cinque anni in Cile e un passato lavorativo in ambito edilizio, ha sentito un forte richiamo: “Gli alberi hanno un’energia diversa. La relazione con loro mi ha aiutato a fare ordine nella mia vita”.
Chiara e Massimiliano conoscono bene i benefici del contatto con la natura. Anzi, di più: sono infatti entrambi guide certificate di forest bathing, in italiano bagno di foresta, una terapia green importata dal Giappone che scientificamente riconosce in alcune tipologie di alberi un effetto benefico sul corpo e sulla salute delle persone.
La storia del bagno di foresta e dei linfociti Natural killer
Il bagno di foresta, in origine chiamato Shinrin Yoku e poi tradotto dagli anglosassoni col nome di forest bathing, è una pratica nata in Giappone agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso.
“In Italia i primi studi scientifici hanno cominciato a filtrare una dozzina di anni fa”, racconta Marco Nieri, bioricercatore esperto in ecodesign e salute dell’habitat e trainer certificato Fth Forest theraphy hub. “Si parlava di una pratica di benessere che era stata lanciata dall’Agenzia forestale giapponese per ridurre i livelli di stress nella popolazione. Solamente dal 2004, grazie ai ricercatori giapponesi Qing Li e Yoshifumi Miyazaki, è stato scientificamente studiato come il passare del tempo nel bosco producesse effetti fisiologici e psicologici molto intensi”.
Tra questi, significativi erano la “riduzione dell’ormone dello stress, soprattutto il cortisolo salivare, la regolazione della pressione arteriosa, la riduzione del numero delle pulsazioni cardiache e una loro maggiore regolarità”, spiega Nieri, “ma anche un incremento dell’attività del sistema parasimpatico, che governa le funzioni biologiche, e una riduzione del sistema nervoso simpatico, che riguarda le risposte di emergenza. E poi una riduzione della percezione di ansia, depressione, di rabbia, di fatica, di confusione e un incremento della sensazione del vigore”.
Ma la scoperta più importante riguarda l’azione positiva sul sistema immunitario: “Specifici componenti degli oli essenziali prodotti ed immessi da certi alberi, chiamati monoterpeni o Phytoncides, agiscono infatti con un meccanismo dose e tempo dipendente sull’aumento del numero e dell’attività dei linfociti Nk, che sono i Natural killer che intervengono sul controllo dei virus delle cellule tumorali nel corpo umano”.
Dagli alberi giapponesi a quelli italiani
Per sfruttare al meglio le potenzialità del bagno di foresta occorre quindi passeggiare nel bosco, inalando per diverse ore quest’aria naturalmente arricchita delle sostanze volatili terapeutiche emesse dagli alberi. Dopo una sola sessione di tre ore, spiegano i ricercatori, i benefici sul sistema immunitario possono durare anche una settimana, mentre riuscendo a totalizzare dieci o dodici ore di permanenza nel bosco, anche in più giorni consecutivi, si può arrivare fino ad un incremento del cinquanta per cento per un intero mese.
Ma non tutti gli alberi sono uguali, specifica Nieri: “Insieme al collega Marco Mencagli, con cui ho scritto il libro “La terapia segreta degli alberi”, abbiamo fatto delle ricerche e ci siamo accorti che anche nelle nostre foreste possiamo ottenere gli stessi effetti delle foreste giapponesi. In Italia, il faggio, il castagno, il leccio, la sughera, il pino domestico sono forti emettitori di monoterpeni”.
Da qui, i due ricercatori hanno realizzato percorsi e sentieri ad hoc per il Forest Bathing, come ad esempio nell’Oasi Zegna di Trivero (Bi), dal 2015 primo percorso green studiato ad hoc per i bagni di foreste, e nel Parco del respiro di Fai della Paganella in Trentino, dove è possibile anche avere degli assaggi di “Bioenergetic landscapes”, la tecnica ideata da Marco Nieri che studia gli effetti del bioelettromagnetismo vegetale sul corpo umano.
Per una sessione di Forest bathing ci si può dunque affidare ad una struttura con percorsi dedicati oppure si può camminare in autonomia, spostandosi tra i lecceti della Sardegna o della Toscana meridionale, tra Livorno e Grosseto, o tra le faggete, dal Gargano alla foresta umbra. Ma si può camminare anche tra i castagneti del Piemonte o nelle foreste di abete rosso in Alto Adige.
Uno strumento utile, in questo caso, è il sito Parks.it dove è consultabile un elenco di parchi nazionali e regionali.
Perdersi in natura per ritrovare se stessi
“Gran parte della terapia la fa il bosco”, commenta con modestia Massimiliano Corrà, guida certifica per il Parco del respiro. Ma la verità è che l’esperienza del bagno di foresta non è completa senza una persona in grado di proporre esperienze sensoriali che promuovono la relazione con la natura.
L’operatore accompagna con pratiche molto semplici a questa coscienza di quello che siamo in quel momento, qui e ora, come persone fisiche all’interno del bosco. E prendiamo coscienza dell’ambiente e dell’abitante principale del bosco: l’albero.
Ovviamente, per proporre una vera esperienza di forest bathing ci sono delle piccole regole da seguire: “Il primo punto è che ci dev’essere copertura arborea, ossia bisogna riuscire a stare sotto la chioma degli alberi per la maggior parte del tempo per riuscire ad inalare queste sostanze volatili”, chiarisce Chiara Cenedese, guida autonoma conosciuta su Instagram con il nome di @chiara_madreselva, attiva anche per la pratica di Foraging, ossia il riconoscimento e la raccolta dei vegetali selvatici commestibili.
“Personalmente, il bosco ideale lo scelgo che sia facilmente raggiungibile e accessibile per tutti: non bisognerebbe fare grandi camminate per arrivare, proprio per offrire l’esperienza a persone di tutte le età, e per questo è utile che ci sia un parcheggio vicino”.
Ogni sessione dura in media dalle tre alle quattro ore, se possibile con il cellulare spento.
“Inizio sempre con un’introduzione in cui dico che non c’è nulla di giusto o sbagliato, che il mio ruolo è solo quello di aprire una porta. E avviso i partecipanti: per qualcuno magari sarà un’esperienza rilassante, creativa, giocosa. Ma ci sono anche persone che durante il percorso piangono, perché si accorgono di aver bisogno di elaborare emozioni profonde. E il bosco è un luogo sicuro in cui poter provare tutte queste emozioni”, racconta Chiara.
Per Massimiliano, “è un invito lento nel vivere il momento presente. Oggi siamo molto proiettati nel futuro e facciamo fatica a vivere quello che c’è. Sfruttiamo l’avvicinamento al bosco per attivare i nostri cinque sensi, andando in profondità, con lentezza, e stimolando la curiosità”.
Gli effetti del turismo e dei cambiamenti climatici
Forse la critica maggiore che viene fatta al forest bathing è quella di non essere una pratica poi così sostenibile. L’attenzione, in questo caso, è focalizzata sul numero di persone che viene introdotta in ambienti naturali meno conosciuti, meno passeggiati. Qualcosa di facilmente risolvibile con un po’ di rispetto, commenta Chiara Cenedese.
“In realtà, il forest bathing fa bene al turismo e il turismo fa bene al Forest bathing”, aggiunge Massimiliano Corrà. “Già solo promuovere l’avvicinamento e il ritorno in natura come forma di benessere personale significa fare prevenzione. Stiamo divulgando un messaggio importante, che è quello di muoversi, di uscire dagli standard e di entrare nei boschi, che ci possono dare tanto dal punto di vista terapeutico e scientifico sul come vivere le cose”.
Anche i cambiamenti climatici incide sul bagno di foresta. “Sto assistendo ad una progressiva diffusione di molte malattie delle piante”, avverte Marco Nieri. “E non migliora la situazione l’arrivo di infestazioni notevoli derivate da un indebolimento dello stato energetico delle piante. Quindi vedo sempre più spesso piante malate, piante secche in particolare, che mi fanno pensare che effettivamente le condizioni climatiche siano diverse: minori precipitazioni e più intense, che non nutrono il terreno. Tutto questo non fa bene agli alberi”.
Il primo passo per tutelare il nostro habitat naturale è prendere coscienza del problema. Anche a questo servono i bagni di foresta. “Piantiamo alberi a più non posso, andiamo in natura e recuperiamo questo contatto”, invita Nieri.
“Impariamo ad amare e a riconoscere ciò che ci circonda”, conclude Chiara Cenedese. “Torniamo ad azioni gioiose e concrete. La gioia dev’essere parte fondamentale di queste pratiche, innanzitutto per noi, altrimenti rischiamo di creare generazioni di persone in burnout, sia che abbiano fatto anni di lavoro estenuante sia che abbiano fatto attivismo ecologico estremo”.
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