La Cop28 è finita, ma bisogna essere consapevoli del fatto che il vero test risiede altrove. Dalla disinformazione al ruolo delle città, ciò che conta avviene lontano dai riflettori.
CO2, dai governi impegni insufficienti. E in ordine sparso
In vista della Cop 21 di dicembre decine di Stati hanno svelato i propri obiettivi di riduzione della CO2: secondo i climatologi non basteranno.
A tre mesi dalla Conferenza mondiale sul Clima, Cop 21, che si terrà a Parigi nelle due prime settimane di dicembre, numerosi Paesi hanno annunciato i loro impegni in termini di riduzione delle emissioni di CO2. Tali “promesse”, tuttavia, sono state giudicate insufficienti da un nutrito gruppo di climatologi, che si è riunito lo scorso 8 luglio nella capitale francese.
“Gli annunci effettuati finora permetteranno di diminuire le emissioni globali di CO2 di 3 o 4 miliardi di tonnellate all’anno, il che rappresenta solo il 15-20 per cento dello sforzo necessario per limitare la crescita delle temperatura media globale a 2 gradi centigradi entro il 2100”, ha denunciato Michel Den Elzen, dell’agenzia di valutazione ambientale dei Paesi Bassi. “Gli impegni assunti dagli Stati, inoltre, sono difficilmente comparabili tra di loro – ha sottolineato Navroz Dubash, climatologo indiano – dal momento ciascuno ha scelto un diverso campo di applicazione, diverse date di riferimento, finanziamenti, tecnologie, nonché forme giuridiche”.
Finora, sono 49 i Paesi (compresi i 28 dell’Ue) che hanno ufficializzato i loro impegni: essi rappresentano il 58,1 per cento delle emissioni attuali a livello globale. L’Australia ha annunciato una riduzione compresa tra il 26 e il 28 per cento, entro il 2030, rispetto al livello registrato nel 2005. Anche il Giappone ha puntato ad un -26 per cento, ma il calcolo è stato effettuato rispetto al livello del 2013. L’Ue si invece è lanciata in una prospettiva di calo del 40 per cento, rispetto al livello del 1990; lo stesso anno è stato indicato dalla Russia, che conta di far scendere le emissioni del 25-30 per cento. Gli Usa, poi, si sono impegnati a centrare un calo del 26-28 per cento, ma rispetto al livello del 2005 (anno scelto come riferimento anche dal Canada). Washington è però l’unica a dichiarare di volerlo fare entro il 2025 (tutti gli altri hanno indicato il 2030).
Nel corso dei negoziati della Cop 21 sarà dunque complicato valutare in modo uniforme le dichiarazioni d’intenti. D’altra parte, però, la scelta di concedere ampia libertà ai governi nell’adottare i propri impegni limiterà il rischio di bloccare le discussioni già al primo passaggio: quello, appunto, legato ai criteri di calcolo.
Infine, non va dimenticato il nodo della Cina: Pechino ha dichiarato che il suo picco massimo di emissioni sarà “attorno al 2030”: secondo le stime di Den Elzen, il dato potrebbe culminare a 15 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, ovvero circa il 50 per cento in più del livello attuale. Di conseguenza, il ricercatore olandese ritiene che, nel 2030, le emissioni globali cresceranno a 58 miliardi di tonnellate, rispetto ai 37 miliardi del 2012.
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