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Per contrastare lo scetticismo e la disinformazione dei negazionisti climatici occorrono un linguaggio studiato e strategie comunicative ad hoc.
Antivaccinisti, complottisti, negazionisti climatici. La schiera di chi, per qualche ragione, si ostina a bollare come “inaffidabili” alcune posizioni ampiamente verificate dal mondo scientifico sembra non essere destinata a ridimensionarsi, nonostante le numerose iniziative di carattere informativo e divulgativo dedicati a temi che sono divenute ormai delle vere e proprie emergenze ambientali, sanitarie o sociali.
Un atteggiamento, quello dei negazionisti climatici – e scientifici in generale – che affonda le sue radici in complesse ragioni di psicologia sociale, nel mito occidentale dell’autodeterminazione (anche di fronte a tesi verificate con metodo scientifico) e nella tendenza a rafforzare le proprie convinzioni circondandosi di amici, reali e virtuali, che le condividano. Secondo uno studio recente delle Università di Berkeley, Rochester e della California, per esempio, molti individui tendono a fondare le proprie convinzioni sul consenso sociale che queste garantiscono loro nel proprio ambiente, piuttosto che su evidenze scientifiche e dati statistici.
Anche il cosiddetto effetto Dunning-Kruger contribuisce a rafforzare le opinioni antiscientifiche dei negazionisti: si tratta di un fenomeno psicologico per cui individui poco esperti in un determinato campo tendono a sopravvalutare le proprie competenze. A causa di questa distorsione, le prove scientifiche finiscono col rappresentare una sorta di minaccia psicologica e col far “chiudere” ancora di più i negazionisti climatici e non solo, allontanando ogni possibilità di ravvedimento e rafforzando paradossalmente i pregiudizi antiscientifici.
Dietro il negazionismo scientifico più ostinato, dunque, si celano motivazioni che sono prima di tutto di natura psicologica, ma anche il linguaggio giornalistico usato per comunicare le emergenze scientifiche ha la sua importanza. Negli ultimi mesi, non a caso, il Guardian ha annunciato di aver modificato il proprio glossario dei termini legati all’informazione ambientale e, in particolare, alle emergenze climatiche. La testata, per esempio, ha scelto di riferirsi al cambiamento del clima con l’espressione “crisi climatica”, per dare ai lettori una maggiore e più immediata evidenza della gravità della situazione. Così, per la stessa ragione, la formula global warming è stata sostituita da un più drastico global heating. «Vogliamo assicurarci di essere rigorosi sul piano scientifico, ma anche parlare con chiarezza ai nostri lettori di questi temi così cruciali», ha spiegato la direttrice del Guardian, Katharine Viner.
Scegliere le parole può insomma fare la differenza, quando si parla ai negazionisti scientifici (e climatici, in particolare). Secondo Cornelia Betsch e Philipp Schmid, ricercatori dell’università di Erfurt, in Germania, oltre alle soluzioni lessicali contano molto le strategie comunicative adottate. Quelle più efficaci per contrastare la disinformazione e l’antiscientismo sarebbero due: la prima, basata sulla confutazione della tesi negazionista, prevede di opporre alla disinformazione i fatti accertati, punto per punto, ma la sua efficacia può essere compromessa dall’effetto Dunning-Kruger e da altre implicazioni psicologiche.
La seconda strategia, nota come confutazione tecnica, consiste invece nello smascherare i metodi utilizzati dai negazionisti scientifici per fuorviare il loro pubblico. In uno studio pubblicato su Nature Human Behaviour, i due ricercatori sostengono che le confutazioni tecniche sembrano essere uno strumento particolarmente efficace, dal momento che i metodi usati dai negazionisti scientifici tendono ad essere molto simili.
Si va dall’insistenza nel diffondere ricerche isolate – e facilmente confutabili – che sostengono un punto di vista non convenzionale (per esempio: la correlazione tra vaccini e autismo) al tentativo di screditare interi settori della scienza sulla base di aspettative irrealistiche e irragionevoli (per esempio: i vaccini non sono al 100% esenti da effetti collaterali e quindi non possono essere considerati affidabili). Conoscere queste tecniche utilizzate per diffondere lo scetticismo può essere molto utile per contrastare il negazionismo. «Se apprendi questo metodo una volta, puoi usarlo con argomenti molto diversi – spiega Betsch – ma occorre conoscere a fondo la scienza, il che richiede uno studio continuo».
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