L’Italia ha bisogno di una legge sul clima per rispettare tutti gli impegni presi

Arriva una proposta di legge sul clima, condivisa dagli scienziati, che spinga l’Italia verso la decarbonizzazione. Passando anche da un nuovo fisco.

  • Arriva la prima proposta di legge sul clima nel Parlamento italiano: punta su emissioni zero al 2050 e a nuovo fisco basato sull’inquinamento.
  • Secondo gli scienziati si tratterebbe di uno strumento necessario da collegare ai piani su energia e clima e di adattamento, senza il quale l’Italia non sarebbe in grado di raggiungere gli obiettivi fissati a livello internazionale.
  • Un Comitato di esperti fisserà e monitorerà un programma di interventi a cui il governo dovrà attenersi, i cittadini avranno potere di parola tramite un apposito Consiglio.

Con l’Accordo di Parigi del 2015, ci siamo impegnati a limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5° rispetto ai livelli industriali entri la fine del secolo. Con il Green Deal europeo del 2021 abbiamo aderito all’impegno di raggiungere la neutralità climatica nell’Unione entro il 2050 riducendo le emissioni di gas serra e adottando misure per contrastare il cambiamento climatico. Infine, firmando la dichiarazione finale della Cop28 di Dubai, abbiamo ribadito questi impegni, dando sulla carta il via libera al transitioning away. Ma senza una legge sul clima come quella che per esempio ha la Germania, che individui chiaramente chi deve guidare questa transizione (la cosiddetta governance) e quali sono gli obiettivi intermedi da fissare, l’Italia non ha gli strumenti per rendere effettivamente realizzabili questi sforzi. Una proposta in tal senso, in Parlamento, adesso c’è: l’ha presentata un gruppo di senatori di opposizione, con la prima firma di Aurora Floridia, di Alleanza Verdi Sinistra.

Perché è importante avere una legge sul clima

La siccità in Sicilia in pieno inverno
Siccità in Sicilia in pieno febbraio © Universal History Archive

La proposta di legge sul clima punta su tre concetti fondamentali. Il primo è quello di ribadire  l’obiettivo della neutralità climatica al 2050; il secondo è una riforma della fiscalità che passi dal tassare le persone al tassare l’inquinamento, secondo la logica del chi inquina paga, che è già un principio fondamentale a livello comunitario ma che in Italia è ben poco attuato  la terza è far tutto questo affidandosi alla scienza, evitando negazionismi e ritardi. Perché, come avvisa il professor Riccardo Valentini, membro del comitato strategico della Fondazione centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici e dell’ Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) l’organismo delle Nazioni Unite preposto alla valutazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici, “la finestra che abbiamo per agire è sempre più piccola”.

È vero, l’Italia ha già un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), approvato alla fine dell’anno scorso peraltro dopo dieci anni di attesa. E abbiamo il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima che serve a definire le politiche e misure italiane per il raggiungimento degli obiettivi energia e clima al 2030. Ma proprio per questo, conferma Serena Giacomin, fisica, climatologa e presidente dell’Italian climate network, “serve una legge clima che faccia parlare tra di loro questi due piani, con un forte richiamo a un approccio scientifico a lungo termine”. E che fissi obiettivi chiari e meccanismi efficaci per raggiungere la neutralità climatica e affrontare la crisi climatica in modo olistico.

Una nuova economia e un nuovo fisco 

Il disegno di legge stabilisce innanzitutto l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 attraverso programmi di prevenzione, mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, fissando gli obiettivi intermedi: le emissioni di gas a effetto serra dovranno essere gradualmente ridotte rispetto ai livelli raggiunti nel 1990 di almeno il 60 per cento entro il 2030, e di almeno il 90 per cento entro il 2040. Un impegno, sottolinea la legge, che implica una graduale trasformazione dell’economia italiana verso un modello sostenibile ed equo dal punto di vista ambientale, sociale e occupazionale. Per quanto riguarda la struttura della governance che guiderà questo processo, viene istituito un Comitato parlamentare scientifico per il clima, incaricato di supervisionare e coordinare le azioni volte al raggiungimento degli obiettivi climatici.

Il Comitato dovrà analizzare i dati, gli studi sul clima e le conclusioni scientifiche del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), e identificare e proporre al governo un vero e proprio programma nazionale di tutela per il clima, contenente le linee guida in materia di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico e le relative analisi d’impatto, e le soglie emissive massime da rispettare. Al Comitato spetterà anche la verifica che le misure approvate e applicate dal governo siano coerenti con l’obiettivo della neutralità climatica. Accanto al Comitato di esperti ci sarà anche un Consiglio dei cittadini, come organo di partecipazione permanente delle associazioni e dei cittadini al processo decisionale sul cambiamento climatico.

Ma il vero punto di forza della proposta di legge sul clima è probabilmente la delega al governo per la creazione di un nuovo tipo di fiscalità, incentrata sul principio del chi inquina paga: una vera e propria  revisione del sistema fiscale che individui misure volte ad azzerare le emissioni di gas a effetto serra. La legge sul clima indica degli obiettivi chiari: ridurre i consumi di energia dell’8 per cento entro il 2030;  aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili al 43 per cento nel 2030, e quella energia elettrica da fonti rinnovabili al 75 per cento nel 2030, quella dei consumi termici al 41 per cento e quella per i carburanti al 17 per cento, aumentare la penetrazione elettrica nei consumi di energia al 30 per cento con particolare attenzione all’elettrificazione nel settore dei trasporti, all’aumento delle auto elettriche, delle pompe di calore e delle cucine a induzione nel settore civile.

Ma scendendo proprio nel campo della tassazione, viene proposto di rivedere totalmente la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull’energia elettrica in funzione del contenuto di carbonio e delle emissioni di gas a effetto serra e in conformità con la normativa europea: più l’energia utilizzata sarà inquinante, più sarà costosa. Poi si dovrà perseguire la logica del doppio dividendo, con la previsione che la maggior parte del gettito sia destinato a misure compensative strettamente correlate all’impatto sociale e territoriale delle politiche climatiche, a strumenti economici per favorire lo sviluppo di nuove tecnologie e a incentivi per la riconversione imprenditoriale e industriale. Al governo verrà poi chiesto di lavorare alla riduzione della povertà energetica e alla riduzione della tassazione sui redditi più bassi, in particolare sul lavoro generato dalla green economy, e di finanziare dei sussidi destinati all’efficienza energetica e alle energie da fonti rinnovabili. Altro punto importante è che viene istituito il Fondo sociale per il clima, sulla scorta di quello europeo che dovrebbe entrare in vigore nel 2026, per compensare gli impatti della transizione ecologica e supportare i redditi più bassi durante questo processo di cambiamento.

Secondo il professor Valentini l’approvazione di una legge quadro che ascolti e tenga in considerazione le istanze della comunità scientifica, citando espressamente l’Ippc che negli ultimi rapporti ha messo in seria guardia i decisori politici, sarebbe un passo in avanti fondamentale, perché “qui la questione è quella sopravvivenza della nostra specie”. Valentini, ricorda che “dalla sua nascita nel 1988,  molte delle cose che stanno accadendo oggi erano già stati previste dall’Ipcc, i cambiamenti climatici noi li avevamo visti arrivare. E oggi il problema non è il negazionismo, è l’indifferenza e la banalizzazione del problema” e proprio per questo una razionalizzazione degli interventi è urgente e necessaria: “Sappiamo che tutto quello che stiamo vivendo sarà ancora peggiore e che la finestra di tempo che abbiamo per agire è sempre più piccola”. Serena Giacomin, presidente dell’Italian Climate Network, la chiama climate delay la tendenza a non negare apertamente i cambiamenti climatici ma a rinviare gli interventi: ne è una prova il Piano nazionale di adattamento “approvato a 10 anni dalla relativa strategia”, che però va abbinato al Pniec: proprio per questo, dice, “serve una legge per un coerente quadro normativo”, chiaro e preciso, per andare avanti ed evitare la catastrofe.

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