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Il simposio riunito lo scorso martedì a Istanbul ha chiesto a 1,6 miliardi di musulmani di ridurre le proprie emissioni climalteranti per proteggere il fragile equilibrio del pianeta.
La si potrebbe chiamare la “dichiarazione di Istanbul”, il documento di 8 pagine redatto martedì 18 agosto dai maggiori rappresentanti del mondo islamico provenienti da 20 Paesi, dall’Indonesia all’Uganda. Religiosi, ricercatori, insegnanti e attivisti si sono riuniti per spingere 1,6 miliardi di musulmani ad agire contro i cambiamenti climatici.
La dichiarazione arriva dopo l’enciclica “Laudato si’”, di Papa Francesco dello scorso giugno e a pochi mesi dall’inizio dei negoziati di Parigi, che vedranno i leader mondiali riunirsi per trovare un nuovo accordo, si spera vincolante, sulla riduzione delle emissioni a livello globale.
Un’azione dal grande valore simbolico, ancorché il mondo islamico non abbia una figura unica come guida religiosa. In questo caso la presa di posizione non lascia adito a dubbi: “La crisi climatica deve essere affrontata attraverso sforzi di collaborazione, cerchiamo quindi di lavorare insieme per un mondo migliore per i nostri figli e i figli dei nostri figli”, ha dichiarato Din Syamsuddin, a capo dell’Indonesian ulema council (Mui), rappresentante di ben 210 milioni di musulmani.
#Muslims4Climate declaration calls for 1.6 billion Muslims to support strong #COP21 agreement http://t.co/WVNlSSlV5n pic.twitter.com/CIfYabA5ys
— UN Climate Action (@UNFCCC) 18 Agosto 2015
La Dichiarazione prende il Corano, il testo sacro islamico, come ispirazione e guida ed è stata redatta dopo due giorni di lavori ai quali hanno partecipato più di 60 rappresentanti di tutto il mondo islamico, oltre ai gran mufti (i più alti ufficiali religiosi) di Uganda e Libano.
In particolare si chiede ai Paesi ricchi del Medio Oriente di essere da esempio e attuare una decisa politica volta alla riduzione delle emissioni entro la metà del 21mo secolo, sviluppando un futuro alimentato al 100 per cento da energia rinnovabile. “Le attività umane stanno mettendo una tale pressione sulle funzioni naturali della terra – recita un passaggio – che la capacità degli ecosistemi del pianeta di sostenere le generazioni future non può più essere data per scontata”.
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