Violenza contro le donne

Una donna su due in Italia è vittima di molestie e discriminazioni sul lavoro

Una indagine della Fondazione Libellula mette in luce il gap di genere sul lavoro: una donna su due sperimenta (anche spesso) molestie e discriminazioni

  • Una donna su due in Italia si dichiara vittima di un’esperienza diretta di una o più forme di molestia e discriminazione sul lavoro.
  • Il 79 per cento vede crescere i colleghi uomini più velocemente, anche se con minore esperienza.
  • Sono i dati di una survey della Fondazione Libellula, basata su interviste alle lavoratrici.

Una donna su due in Italia si dichiara vittima di un’esperienza diretta di una o più forme di molestia e discriminazione sul lavoro. È quanto emerge dalla survey condotta dalla Fondazione Libellula, un’associazione che nasce con lo scopo di agire su un piano culturale per prevenire e contrastare la violenza sulle donne e la discriminazione di genere, in particolare in ambito lavorativo.

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In Italia, 7 donne su 10 con figli minori di 14 anni faticano a conciliare vita famigliare e lavoro © Pexels

Molestie e linguaggio sessista

Dall’indagine effettuata nell’ebook “Vita ed esperienze delle donne al lavoro”, scaricabile gratuitamente dal sito web della Fondazione, risulta che il 55 per cento delle donne in Italia, ovvero più di una su due, ha sperimentato una situazione di molestia, discriminazione o stereotipo nel contesto lavorativo. E se al 36 per cento di loro questa inaccettabile pratica è capitata “a volte”, una donna su cinque (19 per cento) deve subire “spesso” trattamenti degradanti del genere. Nella maggior parte dei casi, si tratta di donne tra i 45 e i 60 anni, con un elevato livello di istruzione. Un esempio? Tra, tutti quello raccontato a Libellula da Elena, 45 anni:

Mi occupo di marketing e in ufficio ieri ho chiesto ad un mio collega di inviarmi un report e mi ha risposto: “Con quel tacco ti manderei qualunque cosa”.

Un atteggiamento solo apparentemente innocuo e troppo spesso sottovalutato, perché frutto di una cultura profondamente maschilista del lavoro: rispetto a carriera e potere, infatti, la survey evidenza che per gli uomini è più facile e veloce crescere e vedere riconosciuti i propri meriti. Arrivano di più e prima a posizioni di potere: ciò fa sì che in azienda la leadership diffusa sia prevalente al maschile. La carriera della donna – quando presente – è spesso interpretata alla luce di altri fattori rispetto al merito o alla competenza, come quelli seduttivi.

Quella leadership non riconosciuta

Il 71 per cento delle donne intervistate infatti sperimenta contesti in cui la leadership e i ruoli di responsabilità sono spesso prevalentemente ricoperti da uomini, e il 79 per cento vede crescere i colleghi uomini più velocemente, anche se con minore esperienza della propria o di altre donne. Cosa ancora peggiore, il 68 per cento sente o ha sentito circolare l’idea che una donna che fa carriera ha usato la leva della seduzione e non quella del merito.

Il linguaggio d’altronde, spiega la Fondazione Libellula, occulta ancora spesso le donne nella loro dimensione professionale, sia nominandole al maschile sia interrompendole nelle modalità. Al punto che il 53 per cento delle donne sono state oggetto – o hanno sentito rivolte ad altre donne – battute sessiste e volgari sul lavoro. Poco meno della metà di loro vengono frequentemente interrotte mentre parlano durante una riunione, e non vengono chiamate con la propria qualifica professionale. Ecco un’altra testimonianza:

Sono Lucrezia, l’altro giorno in pausa pranzo bevevo una bibita in lattina, il mio responsabile mi ha detto: “Sei brava con la cannuccia!” E ha riso. Tutti al tavolo hanno riso.

La maternità si conferma uno stop al percorso di crescita e carriera per le donne e nei contesti di lavoro è diffusa la cultura della genitorialità come esperienza esclusivamente femminile. Il 68 per cento delle donne ha visto rallentare il proprio percorso di crescita, o quello di altre donne, a causa della maternità. Il 65 per cento ha sentito (a volte o spesso) allusioni e commenti rispetto alle conseguenze negative della maternità in azienda.

Le conclusioni della Fondazione Libellula sono chiare: il rapporto tra i generi, dentro e fuori l’organizzazione, risente ancora in modo significativo di stereotipi e visioni culturali limitanti che quotidianamente impattano sulle esperienze delle donne, sul modo in cui si parla loro e di loro, sulle relazioni e i rapporti tra i due generi e nel concreto sul loro tempo, denaro, motivazioni, scelte e carriere.

Quello che bisogna fare

La fondazione, attraverso il proprio network specifico di imprese associate, ha definito una serie di azioni da mettere in pratica per cambiare il contesto organizzativo e culturale all’interno degli ambito lavorativi. Tra questi:

  • raccogliere costantemente dati disaggregati per genere su rappresentanza, presenza, delle donne nei diversi settori, assunzioni/dimissioni, stato di benessere, percezione dell’equità, avanzamenti;
  • Attivare servizi differenziati per genere, per le diverse fasi di vita, monitorando le diverse aree su cui si gioca la partita dell’equità (genitorialità, molestie, violenza, flessibilità e tempo, carriera, ecc.);
  • sostenere l’empowerment, individuale e organizzativo con iniziative costanti sulla cultura di genere, la dimensione finanziaria, il linguaggio, il networking, il sostegno alle reti di donne e di alleati;
  • ingaggiare e coinvolgere attivamente tutta la popolazione con azioni gentili che le persone abbiano voglia di fare proprie, creare alleanze, reti e connessioni, no muri o contrapposizioni. Comunicare e dare visibilità ai risultati raggiunti.

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