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Attraverso l’esperienza lo zen tende a rompere quelle barriere che ci separano dal nostro vero essere, la nostra vera realtà, il nostro vero sé.
Quelle barriere invisibili che costringono l’umanità a vivere inconsapevole dalla sua vera natura e di quella dell’universo.
Barriere che condizionano gli esseri umani attraverso le preoccupazioni quotidiane, i pensieri che li assorbono e coinvolgono in una realtà non vera, non reale, artificialmente divisa in due polarità contrapposte. “La maggior parte delle persone non vivono, dormono”, dicono i maestri. Lo zen mira a far superare ogni dualismo non solo riconoscendo la profonda unità dell’esistente, ma realizzandola, nel “qui e ora”. Anche se sembra il contrario, non cerca l’astrazione dalla vita sensibile, ma eleva la realtà quotidiana al rango di quella trascendente.
Non esiste nessuna realtà soltanto trascendente, il divino si rivela in ognuno dei più piccoli esseri dell’universo e la trascendenza è sempre e continuamente manifesta. Un patriarca zen disse: “La sola differenza che esiste tra un budda e un uomo comune è che il budda sa di essere un budda, mentre l’uomo comune non lo sa”.
La vita va compresa e assimilata, camminando con lei e in lei, mantenendo il suo passo, accettando senza riserve il suo eterno mutare, le sua magiche trasformazioni: anche quelle che avvengono in noi e attraverso di noi.
“Mangia quando hai fame e dormi quando hai sonno” Questa può essere una sintesi, tra le tante, dell’essenza dell’insegnamento zen. E il suo significato può essere inteso a tanti diversi livelli. Così come “vivi quando vivi, muori quando muori”.
E’ sempre lo stesso indicare, lo stesso alludere. Attraverso il suo linguaggio sintetico, l’illuminato vuol far comprendere che, in ogni aspetto della vita, vi è la divinità. In ogni atto la buddità si esprime, anche quando si mangia, anche quando si svolge una qualsiasi attività della vita quotidiana: “Quale meraviglia soprannaturale, e quale miracolo è questo. Tiro su l’acqua dal pozzo e porto la legna!”.
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