Flessibilità, tutta una questione di curve

Vista nel suo insieme, sul piano frontale, la colonna vertebrale forma quattro curve necessarie per garantire la giusta mobilità e ripartizione dei carichi

Sul piano sagittale, di profilo, la colonna forma quattro curve necessarie per garantire la corretta mobilità e ripartizione dei carichi. Queste sono, partendo dal basso:

  • Curva sacrale a convessità posteriore, che è fissa per la fusione delle vertebre sacrali
  • Lordosi lombare, a concavità posteriore
  • Cifosi dorsale a convessità posterioreLordosi cervicale a concavità posteriore

Nella filogenesi, cioè nel corso dell’evoluzione della razza umana a partire dagli ominidi, il passaggio dalla posizione quadrupede alla stazione eretta bipede ha causato dapprima il raddrizzamento e successivamente l’inversione della curva lombare, inizialmente concava in avanti.

Durante l’ontogenesi, ovvero durante lo sviluppo dell’individuo, assistiamo all’evoluzione della colonna: inizialmente, a livello fetale, è un’unica grande cifosi, cioè una curvatura concava in avanti; dopo la nascita, a circa un mese, quando il neonato inizia ad alzare la testa in posizione prona, si forma la lordosi cervicale; a circa un anno, con l’inizio della deambulazione, si forma infine la lordosi lombare che si completerà solo verso i 10 anni. Queste curve, espressione dell’adattamento evolutivo alla postura bipede, favoriscono una maggior resistenza del rachide (termine che designa la colonna vertebrale includendo vertebre, legamenti, muscoli, nervi, midollo spinale e i vasi sanguigni correlati) alle sollecitazioni in compressione assiale, cioè delle forze verticali, per esempio della forza di gravità. Grazie all’evoluzione, un rachide con le normali curve fisiologiche, rispetto a un rachide rigido, presenta una resistenza 10 volte maggiore.

La premessa era necessaria per sottolineare la fisiologica importanza di queste curve per la salute della nostra colonna, che va mantenuta con la massima elasticità possibile.

L’osteopatia è una forma di trattamento che lavora in questo senso, eliminando qualunque restrizione di mobilità, permettendo così al nostro organismo di poter guarire da solo, di recuperare la fisiologica escursione di movimento dei muscoli, delle fasce, delle articolazioni, degli organi, dei visceri e della colonna.

L’intervento dell’osteopata viene eseguito mediante tecniche manuali energetiche o strutturali che permettono di rimuovere l’ostacolo al libero scorrimento dell’energia individuale perché dove esistono dei “ristagni” insorgono più frequentemente le patologie. Ecco perché l’approccio osteopatico è di tipo globale alla persona e spesso, per trattare un dolore al piede, si deve concentrare il lavoro a livello dell’anca o magari ancora più lontano, a livello cranico.

L’osteopata utilizza le proprie mani come strumento terapeutico e pur essendo il significato di “osteopatia” relativo alla “patologia dell’osso” non si occupa solo di problematiche dell’apparato locomotore, ma di tutto il corpo.

Le tecniche di lavoro sono molto dolci, l’intervento sulle fasce, la liberazione delle aderenze tra i diversi organi per favorire, ad esempio, la peristalsi in un paziente colitico, lo stretching muscolare selettivo per recuperare la fisiologica escursione articolare, il tutto avviene con tranquillità e serenità, in sinergia con i movimenti respiratori affinché il paziente possa godere dello stato di rilassamento necessario per innescare, grazie alle tecniche osteopatiche, il meccanismo di guarigione di cui l’artefice rimane il corpo stesso.
dott. Enrico Chieffo

Articolo pubblicato sul Magazine n.20 sett.-ott.04

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