
Ora che il fashion month è definitivamente concluso possiamo dirlo: la body positivity è scomparsa dalle passerelle. Tornerà o si tratta di un addio?
L’80% delle maestranze tessili è composto da donne sottopagate. Per questo, è nata la campagna Good clothes fair pay, che si può sostenere firmando una petizione online.
L’industria della moda dà lavoro a oltre 70 milioni di persone in tutto il mondo. L’80 per cento delle maestranze tessili è composto da donne che vengono sottopagate e vivono ai limiti della soglia di povertà. Questa situazione è stata aggravata dalla pandemia che ha visto molte fabbriche chiudere nel Sudest asiatico, quando i marchi di moda si sono rifiutati di ritirare la merce già prodotta e di pagarla. I lavoratori sono letteralmente rimasti per strada in luoghi dove manca una rete sociale che protegga chi si trova in uno stato di indigenza.
Quando la situazione è stata resa pubblica da dichiarazioni di rappresentanti di categoria, un gruppo di associazioni ha lanciato la campagna Pay your workers sui media. I marchi più importanti si sono resi conto che le conseguenze per la propria immagine sarebbero state gravi e quindi hanno deciso di ritirare la merce e pagare le produzioni. Ma molti marchi si sono rifiutati di farlo.
Questo dimostra che quando siamo determinati e uniti riusciamo a cambiare situazioni che sembrano al di là del nostro controllo. Nel 2020 un gruppo di sessanta organizzazioni non governative ha inviato una proposta di legge al Parlamento europeo chiamata Good clothes fair pay. Dopo due anni è stata pubblicata la strategia dell’Unione europea sul tessile che, fra due anni, deve essere ratificata nei paesi membri. Il parlamento Ue ha seguito i nostri consigli, tranne per quanto riguarda il pagamento della paga dignitosa a chi produce i nostri vestiti.
Per questo motivo, un gruppo di organizzazioni non governative, tra le quali Fashion Revolution, ha dato vita all’iniziativa Good clothes fair pay per sottoporre un testo di legge al Parlamento europeo in cui si chiede ai marchi di moda che vendono in Europa di dimostrare che i loro produttori lungo tutta la filiera abbiano pagato un salario dignitoso e non la paga minima che, spesso, è sotto la soglia di povertà.
Per far approvare questa legge dobbiamo raccogliere un milione di firme in un anno. In Italia ci siamo impegnati per raccogliere 72mila firme e abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti per assicurare giustizia sociale alle milioni di persone che producono i nostri vestiti. Quando i genitori non guadagnano abbastanza, devono andare a lavorare anche i bambini. Aiutaci a garantire che questo non accada più: firma la petizione.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Ora che il fashion month è definitivamente concluso possiamo dirlo: la body positivity è scomparsa dalle passerelle. Tornerà o si tratta di un addio?
Dalle pellicce alla lana, il documentario Slay affronta il tema dei materiali animali nella moda senza fare sconti e offrendo delle alternative.
Una minigonna non è solo una minigonna, così come gli slogan femministi sulle t-shirt di Dior: ecco come le lotte delle donne hanno cambiato la moda
Moda e biodiversità: qual è il loro legame e cosa si può fare affinché questo settore rispetti il delicato equilibrio del pianeta.
Una campagna lanciata lo scorso anno ha ottenuto di far cambiare la definizione di “color carne” su alcuni dizionari italiani, ma l’invito è ancora aperto.
Comprare meno, comprare meglio. Ecco nove brand per la nostra selezione mensile di marchi eco-conscious e rispettosi delle condizioni dei lavoratori
La Settimana della moda milanese si è conclusa e sono stati molti i progetti dedicati alla sostenibilità. Ecco la nostra selezione.
Superare la connotazione tra maschile e femminile è una conquista della moda gender fluid che dobbiamo alla Gen Z.
Estremamente versatile come fibra tessile, la canapa necessita di poca acqua. Nel nostro Paese si coltivava molto, ora davvero poco.