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L’11 luglio è stata una data importante per la salute mentale. L’Inps ha pubblicato le graduatorie ufficiali del Bonus psicologo 2024.
Funziona con gli stessi meccanismi che regolano il piacere maschile. La sua dimensione è variabile, ma normalmente non supera la grandezza di una piccola moneta.
Dopo la riscoperta “scientifica”, negli anni sessanta, del
piacere che poteva venire dalla stimolazione del clitoride, ecco
un’altra espressione sessuale che sta diventando sempre più
di moda: il mitico Punto G, situato a circa due centimetri
all’interno della vagina. La sua stimolazione diretta provoca
l’orgasmo vaginale e il rilascio di un fluido trasparente, simile
al liquido seminale maschile: una vera e propria eiaculazione…
femminile!
Funziona con gli stessi meccanismi che regolano il piacere
maschile. La sua dimensione è variabile, ma normalmente non
supera la grandezza di una piccola moneta e recentemente i
ricercatori dell’università de L’Aquila, hanno scoperto che
il punto G è un concentrato di piccolissime ghiandole, note
come ghiandole di “Skene”. Si tratta di un residuo embrionale,
analogo alla prostata, e di corpi cavernosi, tipico del pene. Il
punto G è ricco di un particolare enzima, presente anche nel
clitoride, che ha un ruolo particolare nell’eccitazione
femminile.
Nel mondo occidentale, il Punto G è stato descritto per la
prima volta nel 1950 dal ginecologo tedesco Ernst Grafenberg, con
scarso credito scientifico. Verso gli anni ’80, poi, la teoria
è stata è stata riconsiderata da studiosi come Alice
e Harold Ladas, John Perry e Beverly Whipple. Furono poi loro a
chiamare, nel 1982, la zona in esame punto G, cioè
Grafenberg, in onore del primo “scopritore”, nel famoso libro “The
G Spot”.
Eppure, era ben noto nel 600 e nel 700 e figura anche in un
trattato medico a firma di Reigner de Graaf, anatomista olandese,
anche se poi il “moralismo” dell’epoca, ne ha fatto perdere la
conoscenza.
In ogni caso, in culture diverse dalla nostra, il punto G è
noto da tempo immemorabile, senza alcuna perplessità sulla
sua esistenza. Per esempio, negli antichi testi tantrici è
chiamato anche Saspandana, “punto del piacere” o “punto sacro”.
Sacro proprio perché è la chiave che conduce
all’orgasmo “implosivo”, quell’orgasmo più profondo definito
“uterino” dai ginecologi americani Josephine ed Irving Singer. Il
punto è conosciuto anche da secoli e secoli da alcune
popolazioni africane con il nome di “Kachapati”.
Tutte le donne hanno il Punto G, ma non tutte possono rispondere
allo stesso modo alla sua stimolazione, anche perché non
è facile individuarlo, specie se ci si ostina con una
ricerca sterile che si basa solo su semplici riscontri anatomici e
fisiologici, senza prendere in considerazione le emozioni e le
pulsioni più intime che la donna prova in quei momenti ed
esprime spesso in maniera oscillante.
Il punto G non è, infatti, un interruttore della luce da
cercare a… tentoni!
Gabriele Bettoschi
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