Diritti umani

L’ultimo match di Muhammad Ali, il combattente per i diritti civili

Il suo ultimo incontro è stato quello più lungo e difficile, contro un avversario che si sa già che sarà il più forte. Muhammad Ali, nato Cassius Clay, ha resistito per 32 anni al Parkinson, un record per questa malattia, e si è spendo a venerdì sera a Phoenix, in Arizona, all’età di 74 anni.

Il suo ultimo incontro è stato quello più lungo e difficile, contro un avversario che si sa già che sarà il più forte. Muhammad Ali, nato Cassius Clay, ha resistito per 32 anni al Parkinson, un record per questa malattia, e si è spendo a venerdì sera a Phoenix, in Arizona, all’età di 74 anni. Lo ha confermato il portavoce della famiglia Bob Gunnell. Il tre volte campione del mondo di pesi massimi era stato ricoverato in ospedale questa settimana per problemi respiratori.

 

Muhammed Ali era stato in ospedale diverse volte negli ultimi anni, l’ultima nel gennaio 2015, per una grave infezione alle vie urinarie. Pochissime da anni le sue apparizioni pubbliche, nelle quali era apparso sempre più sofferente e fragile.

 

1965. Nel pieno del suo fulgore, Cassius Clay (più avanti Muhammad Ali) si allena nella sua palestra © Harry Benson/Express/Hulton Archive/Getty Images
1965. Nel pieno del suo fulgore, Cassius Clay (più avanti Muhammad Ali) si allena nella sua palestra © Harry Benson/Express/Hulton Archive/Getty Images

Il morbo di Parkinson di cui soffriva fu palese al mondo per il tremore delle mani mentre accendeva la torcia olimpica nel 1996, ai Giochi di Atlanta. Eppure Muhammad Ali era rimasto attivo a lungo come figura pubblica. Nonostante la sofferenza soltanto negli ultimi anni si era del tutto ritirato a vita privata.
https://youtu.be/80wMMFAcweQ

La leggenda della boxe

A 18 anni, alle Olimpiadi di Roma, vinse la medaglia d’oro (la leggenda vuole che l’abbia gettata in un fiume dopo che un cameriere si rifiutò di servirlo perché nero). Nel 1964, a 22 anni, diventa campione del mondo dei pesi massimi abbattendo in un incontro brevissimo Sonny Liston.

 

Non solo le vittorie, anche le sconfitte sono entrate nel mito del campione (5 su 61 incontri disputati). Come quella con Joe Frazier, nel 1971 (Ali avrebbe ottenuto la rivincita due anni dopo). A Manila, nel 1975, vinse contro Smokin’ Joe, ma al limite delle forze, dopo 14 round in cui i due si massacrarono di pugni. Fu invece sconfitta annunciata quella del 1980 contro il giovane Larry Holmes, Ali aveva 38 anni e aveva ricevuto molti colpi durante la carriera, cui pose termine l’anno seguente.

 

Il “rumble in the jungle”

Nel 1974 Ali voleva riprendersi il titolo di campione del mondo dei pesi massimi che aveva perso contro George Foreman. Per l’occasione vennero fatte le cose in grande, fu infatti eccezionalmente scelta come sede dell’incontro Kinshasa, la capitale dell’allora Zaire (oggi Congo).

 

Pur essendo entrambi gli sfidanti neri, solo Mohammed Ali venne riconosciuto come proprio campione dalla folla, che lo accolse trionfalmente, con i bambini che lo incitavano dicendo “Ali boma ye” (“Ali uccidilo”). Un incontro diventato un classico ancora oggi trasmesso dalle televisioni sportive insieme a quello contro Joe Frazier, nel 1971 al Madison Square Garden di New York. E un incontro ricordato per essere stato raccontato, due anni dopo, nella popolare canzone pop “In Zaire” di Johnny Wakelin.

Combatté per i diritti civili e contro il razzismo

Nato Cassius Marcellus Clay Jr, Ali visse in gioventù gli anni della discriminazione razziale e delle prime lotte per i diritti civili dei neri. Alla forma pacifista di Martin Luther King preferì però l’attivismo di Malcolm X e delle sue Pantere Nere, che mescolava le rivendicazioni della minoranza di colore, la religione islamica ed il comunismo. Perciò, dopo essersi convertito alla Nazione Islamica cambio il nome, spiegando: “Cassius Clay è un nome da schiavo. Io non l’ho scelto e non lo voglio. Io sono Muhammad Ali, un nome libero”

 

Ali divenne un simbolo per il movimento di liberazione dei neri negli Stati Uniti durante gli anni ’60, anche per aver sfidato il governo americano, opponendosi all’arruolamento nell’esercito per andare a combattere in Vietnam. Dichiarò: “Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro…”. Per questo rifiuto, nel 1967 gli venne revocato il titolo di campione del mondo e gli venne impedito di salire sul ring per alcuni anni, proprio nel pieno della sua carriera.

 

L’ultima dichiarazione, contro Donald Trump

Lo scorso dicembre veniva pubblicata una dichiarazione ufficiale di Muhammad Ali in risposta al candidato alla presidenza Donald Trump, che si era espresso contro l’immigrazione dei musulmani negli Stati Uniti: “Io sono un musulmano e non c’è niente di islamico nell’uccidere persone innocenti a Parigi, San Bernardino, o in qualsiasi altra parte del mondo. I veri musulmani sanno che la violenza spietata dei cosiddetti jihadisti islamici va contro gli stessi principi della nostra religione. Noi come musulmani dobbiamo resistere a coloro che usano l’Islam per portare avanti i propri programmi personali. Essi hanno alienato molti dall’imparare a conoscere l’Islam. I veri musulmani sanno o dovrebbero sapere che va contro la nostra religione provare a costringere qualcuno a convertirsi all’Islam. Credo che i nostri leader politici devono usare la loro posizione per sensibilizzare alla comprensione dell’Islam e chiarire che questi assassini hanno influenzato negativamente le opinioni dei cittadini su ciò che l’Islam è veramente”.

Alcune frasi celebri

“La boxe è quando un sacco di bianchi stanno a guardare due neri che si riempiono di botte.”
“I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità.”
“Un uomo che osserva il mondo a cinquanta anni allo stesso modo in cui l’ha fatto a venti, ha sprecato trenta anni della sua vita.”
“Tutte le religioni hanno nomi diversi, ma tutti contengono le stesse verità.”

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