L’elogio della lussuria

Intellettuali inglesi, ma anche italiani, si attivano per riabilitare lussuria, passione ed erotismo agli occhi dei giovani e dei meno giovani, per vivere la propria umanità.

Come una meteora, una notizia curiosa è apparsa, e poi
subito scomparsa, dal circuito dell’informazione, la settimana
scorsa: uno stimato professore di filosofia
dell’Università di Cambridge, Simon Blackburn, è
stato incaricato di redigere uno studio sull’attualità dei
vizi capitali, così come erano stati definiti da Papa
Gregorio Magno, nel 6° secolo.

Se l’incarico sorprende – ma del resto, perché non
aggiornare, dopo 14 secoli, i nostri luoghi comuni? – il risultato
dell’indagine è quello che lascia senza fiato, costringendo
a una revisione di alcuni degli stereotipi acquisiti già col
latte materno. Non a caso Blackburn è così rinomato,
è infatti proprio dei “veri” filosofi spingere a una

riflessione autentica sulle cose e,
soprattutto, sui valori.

IL suo verdetto? La lussuria non è un vizio, è una
virtù. Definendo la lussuria come “l’entusiastico desiderio
di attività
sessuale
e di piacere fine a se stesso”, Blackburm
vuole sottolineare che il piacere
erotico
è stato ingiustamente demonizzato nei
secoli, mentre invece fa bene alla specie umana e favorisce un
atteggiamento più equilibrato, maturo e anche consapevole
nei confronti della realtà. Lo aveva già sottolineato
Wilhelm Reich, nel suo classico “La rivoluzione sessuale”, ma certe
verità non vengono divulgate facilmente.

Se l’affermazione di un professore di Cambridge ha fatto
così scalpore da finire sui comunicati Ansa di tutto il
mondo (o forse no, sui siti statunitensi, per esempio non
c’è traccia della notizia), quando le stesse cose erano
state dette da un professore italiano, la stampa non si è
scomodata.

Quattro anni fa, Marco Santagata, docente di Letteratura Italiana
all’Università di Pisa, nell’ambito di una serie di lezioni
al Liceo Classico “Giambattista Vico” di Napoli ha affrontato il
tema della
lussuria. Alla domanda di una studentessa se
“è più facile controllare e trattenere il sentimento
della passione oppure farsi travolgere e quindi di conseguenza
peccare?”, Santagata ha risposto provocatoriamente mettendo in
gioco i presupposti su cui si basava la domanda stessa e quindi il
modo di pensare sottostante: “Perché si pecca facendosi
travolgere dalla passione?” Se di “peccato” si parla, c’è un
peccato ancora più insidioso – sottolinea Santagata -, che
non è lasciarsi vincere dalla passione, ma è
commettere certi atti senza la passione, cioè l’atto
sessuale non accompagnato dal sentimento amoroso. Questo è
ancora peggiore.

Marcella Danon

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