Che fine hanno fatto centinaia di migranti deportati nel deserto in Tunisia

Per giorni non si è saputo dove fossero centinaia di migranti, forse 700, deportati e abbandonati nel deserto tunisino.

  • La scorsa settimana centinaia di migranti sono stato deportati nel mezzo del deserto tunisino dalle autorità locali.
  • Sotto la pressione di ong e media, 511 di loro sono stati recuperati e trasferiti in dei centri di accoglienza.
  • Mentre il presidente Saied compie aperte violazioni dei diritti umani, Italia e Unione europea negoziano accordi con la Tunisia.

Il deserto lo avevano già attraversato, partendo da paesi come il Sud Sudan, la Sierra Leone, il Camerun e molti altri dell’Africa nera. Ma ad aspettare centinaia di migranti, forse 700, giunti a Sfax, seconda città delle Tunisia e principale luogo di partenza per le coste italiane di Lampedusa, non era il mare ma nuovamente la sabbia. Secondo le frammentarie ricostruzioni dei media francesi, italiani (grazie al Manifesto) e alle pochissime testimonianze dei diretti interessati, infatti, nei giorni scorsi centinaia di persone sarebbero state letteralmente deportate dalla polizia locale da Sfax al deserto tunisino vicino al confine con la Libia, a qualche decina di chilometri dalle cittadine di Gafsa e Kasserine. Tra loro donne e bambini, abbandonati in un luogo sperduto, privo di ombra, dove temperatura massima nei giorni scorsi hanno toccato i 43 gradi.

Un viaggio a ritroso nel deserto tunisino

Tutto sarebbe iniziato lo scorso 6 luglio, quando nel corso di alcuni disordini tra migranti e locali un tunisino di 41 anni è rimasto ferito a morte da una coltellata. Da lì, spiega la France Press, si è scatenata la furia degli abitanti di Sfax, che si sono detti stufi della presenza dei migranti in città. Ma l’episodio scatenato dalla morte del cittadino tunisino non è che l’ultimo di una serie di attacchi di matrice razzista – sottolinea la France Press – scoppiati dopo che a febbraio il presidente Kais Saied ha accusato “orde” di migranti privi di documenti di portare violenza e di aver presunto un “complotto criminale” per cambiare la composizione demografica del paese. Lo stesso Kais Saied con cui l’Italia sta firmando accordi di partenariato, dopo aver convinto anche l’Unione Europea. In questo video, ad esempio, si può vedere un gruppo di migranti costretti a rimanere sdraiati a terra e subire quella che probabilmente – si spera – è una finta esecuzione.

Questa volta però i circa 700 migranti (non è possibile però avere una conferma ufficiale del numero esatto), rivoltisi alla polizia per ottenere protezione, secondo le ricostruzioni di organizzazioni non governative e giornali francesi e italiani, sono stati per tutta risposta caricati in autobus e trasportati verso le aree del deserto tunisino: alcuni vicino al confine con la Libia e altri vicino alla frontiera con l’Algeria, paesi da dove entra in Tunisia la maggior parte de migranti che viaggia in direzione Sfax. Il resto sarebbe rimasta lettera morta, se alcuni dei 700 deportati non fossero riusciti a entrare in contatto con la stampa. “Non abbiamo niente da mangiare o da bere. Siamo nel deserto”, ha detto per esempio Kone all’AFP per telefono.

Ma anche il quotidiano italiano Il manifesto  è riuscito a parlare con una deportata, ottenendo una una testimonianza molto precisa: “Era il 3 luglio quando siamo stati aggrediti a colpi di pietre nella nostra abitazione poco fuori Sfax. Ci siamo spaventati molto, siamo rimasti chiusi in casa e abbiamo chiamato la polizia. Ci hanno detto di non avere paura, che ci avrebbero portato al sicuro. Ci siamo fidati di loro e siamo saliti su uno degli autobus. Dopo qualche ore eravamo 200 persone abbandonate nel deserto”.

Dopo giorni di silenzio e di assoluta mancanza di informazioni, finalmente l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha fatto sapere che, sulla base delle denunce della stampa, 158 persone sono state trasferite nella città tunisina di Tataoiune, vero e proprio avamposto del deserto tunisino, e altri 353 sono attualmente ospiti di strutture pubbliche a Medenine, poco più a nord. Messo alle strette sulla vicenda dalle denunce della stampa internazionale e delle organizzazioni umanitarie, infatti, il presidente tunisino Kais Saied domenica ha ordinato alla Mezzaluna Rossa (l’equivalente musulmano della Croce Rossa) di portare aiuto ai migranti, ma ha negato che si siano verificati maltrattamenti a loro danno. Inoltre è tornato a ribadire come la Tunisia “sia in preda a un tentativo di destabilizzazione da parte dei trafficanti di esseri umani”. Rimane comunque, nella vicenda, un enorme punto interrogativo: se è vero che i migranti deportati erano 700 (ma anche questo è un dato difficilmente dimostrabile) e i migranti messi in salvo, da una semplice somma, risultano essere 511, che fine avrebbero fatto gli altri quasi 200 migranti?

Il vento razzista Saied e l’appoggio di Italia e Ue

Non è la prima volta che Saied, alle prese con la gravissima crisi finanziaria della Tunisia e con un calo drastico del proprio consenso personale culminato con delle grandi manifestazioni di piazza, scarica le responsabilità sui migranti, con conseguenze anche gravi, come raid punitivi e violenze perpetrati dagli stessi cittadini tunisini contro le persone provenienti dall’Africa subsahariana, soprattutto a Sfax. Ma è soprattutto quest’ultimo episodio a solleva importanti questioni sul trattamento dei migranti: numerose organizzazioni per i diritti umani hanno manifestato preoccupazione, sottolineando che l’abbandono di persone nel deserto costituisce una chiara violazione dei diritti umani fondamentali, compresa la protezione dalla tortura, dalla fame e dalla sete. Inoltre, la deportazione arbitraria e senza procedure appropriate ha sollevato questioni sulla conformità del governo tunisino alle norme internazionali sui diritti umani.

Tutto questo mentre il governo italiano ha instaurato con Saied una vera e propria collaborazione, portando a Tunisi l’11 giugno anche la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e il premier olandese Mark Rutte (il cui governo, ironia della sorte, nel frattempo è caduto proprio sul tema migranti): “Nell’ambito del nostro lavoro congiunto sulla migrazione, la lotta contro la migrazione irregolare da e verso la Tunisia e la prevenzione delle perdite di vite umane in mare, è una priorità comune che comprende la lotta ai contrabbandieri e ai trafficanti di esseri umani, il rafforzamento della gestione delle frontiere, la registrazione e il rimpatrio nel pieno rispetto dei diritti umani”, si leggeva un mese fa nella dichiarazione congiunta emessa dopo il vertice di Tunisi. Per ora, però, il pieno rispetto dei diritti umani è rimasto solo sulla carta.

Ma c’è di più, perché in questi stessi giorni l’Associazione italiana per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha messo nero su bianco che anche in Italia, molto spesso, i diritti dei migranti rimangono solo sulla carta: un cittadino pakistano, infatti, ha vinto il ricorso presentato presso il Tribunale di Roma, presentato per via di un respingimento. Il migrante pakistano era entrato in territorio italiano il 17 ottobre 2020 e, nonostante la contestuale manifestazione di volontà di domandare protezione internazionale, era stato rispedito in Slovenia e successivamente in Croazia e poi respinto in Bosnia ed Erzegovina, secondo il meccanismo della riammissioni informali particolarmente implementato in quel periodo. Una pratica illegale secondo tutte le convenzioni internazionali ma messa nero su bianco da un accordo privato tra Italia e Slovenia, mai ratificato dal Parlamento italiano. Procedura che il Governo italiano, dopo averla sospesa nel gennaio 2021, ha deciso di ripristinare a partire da novembre del 2022 seppur non formalmente, nei confronti di coloro che chiedono protezione internazionale.

 

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