La Tunisia scende in piazza contro l’autoritarismo del presidente Saied

Negli ultimi due anni il presidente della Tunisia Kais Saied ha accentrato il potere nelle sue mani. Ora le proteste si stanno intensificando.

  • Da diverse settimane nelle principali città della Tunisia si svolgono proteste contro il presidente Kais Saied.
  • Saied negli ultimi anni ha trasformato il sistema politico democratico tunisino in un iperpresidenzialismo con un uomo solo al comando.
  • Nelle ultime settimane sono stati arrestati a decine tra oppositori politici, giornalisti, giudici e sindacalisti.

Da settimane la Tunisia è in subbuglio. Il presidente Kais Saied negli ultimi anni ha impresso una virata autoritaria al paese, concentrando sempre più i poteri nelle sue mani, imbavagliando le opposizioni e mettendo in atto politiche repressive contro gli immigrati. Sullo sfondo il paese vive una profonda crisi economica, tanto che il governo di Tunisi sta negoziando un prestito col Fondo monetario internazionale.

Il presidente della Tunisia
Il presidente della Tunisia, Kais Saied © FETHI BELAID/AFP via Getty Images

Di fronte a questa situazione difficile, a partire da gennaio e dall’anniversario della rivoluzione dei Gelsomini del 2011 si sono intensificate le manifestazioni di piazza di un popolo sempre più arrabbiato. Il processo democratico tunisino partito oltre dieci anni fa con la caduta del dittatore Ben Ali appare sempre più fragile.

La deriva autoritaria in Tunisia

Kais Saied ha assunto la carica di presidente della Tunisia nel 2019, riportando oltre il 70 per cento delle preferenze al secondo turno di voto. Una figura indipendente e dall’ampio consenso popolare, chiamata a risollevare un paese in difficoltà economica e sociale, che nel 2021 ha dato però una svolta autoritaria alla sua presidenza per superare una fase di stallo politico.

Saied ha assunto i pieni poteri, revocato i membri del suo governo e bloccato le attività dal parlamento. Quest’ultimo è stato poi sciolto definitivamente nella primavera 2022, con i deputati accusati dal presidente di voler attentare alla sicurezza interna del paese. In questa situazione Saied ha iniziato a operare attraverso decreti presidenziali, anche alla luce della nuova Costituzione da lui promossa e approvata senza quorum nell’estate scorsa. Questa ha delineato una sorta di presidenzialismo puro, dando quindi il potere al presidente di nominare e revocare unilateralmente premier e ministri. Sempre Saied ha poi varato una nuova legge elettorale che esclude dalla competizione i partiti e consente quindi la partecipazione al voto di soli candidati solitari indipendenti.

Lo scorso dicembre ci sono state le prime elezioni parlamentari con il nuovo sistema e l’affluenza è stata bassissima: intorno all’11 per cento, confermata poi al ballottaggio di gennaio. Questa è stata vista come la dimostrazione che la popolarità del presidente e delle istituzioni politiche in Tunisia stia crollando, in un momento in cui il paese si trova peraltro a vivere una profonda crisi economica, con beni di prima necessità mancanti e il rischio di default. E il malcontento si è palesato in modo ancora più evidente nelle ultime settimane.

Crescono le proteste

Il 14 gennaio scorso le strade tunisine sono state invase da migliaia di manifestanti. L’oggetto della protesta è stato il presidente Kais Saied, con la richiesta di sue dimissioni. E questo è avvenuto in una data tutto fuorché casuale: proprio il 14 gennaio del 2011 la Tunisia destituiva il dittatore Ben Ali.

Non è stata la prima protesta contro Saied nella Tunisia degli ultimi anni. Le manifestazioni contro la deriva autoritaria in corso in quella che sembrava l’unica democrazia uscita dalle primavere arabe vanno avanti da un paio d’anni, ma il dissenso sembra essere esploso definitivamente nel 2023. Nelle settimane successive al 14 gennaio si sono tenute altre imponenti manifestazioni, anche in conseguenza del pugno duro del presidente contro il dissenso

Proteste in Tunisia
Proteste in Tunisia © Yassine Gaidi/Anadolu Agency via Getty Images

Saied ha fatto arrestare una decina di oppositori politici, ma anche giudici, giornalisti e un importante leader sindacale. Li ha accusati di terrorismo e di voler sovvertire lo stato di diritto e anche chi ha mostrato loro solidarietà ne ha subito le conseguenze. Esther Lynch, segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati, è stata colpita da un decreto presidenziale di espulsione dalla Tunisia, dopo che aveva partecipato a una manifestazione a Sfax contro la deriva autoritaria in corso. 

Contro l’immigrazione sub-sahariana

Negli ultimi giorni la situazione delicata che sta vivendo la Tunisia si è arricchita di un nuovo preoccupante capitolo. Il presidente Saied, ispirandosi allo schema classico del sovranismo xenofobo, ha sollevato con violenza verbale un tema che storicamente non ha trovato spazio nel dibattito pubblico tunisino. Quello dell’immigrazione

Il presidente ha tirato in ballo i capisaldi dell’identitarismo integralista europeo tanto caro a partiti politici come quello di Viktor Orban in Ungheria, Marine Le Pen in Francia o Giorgia Meloni in Italia. E li ha adeguati al contesto tunisino. “L’immigrazione clandestina fa parte di un complotto per modificare la demografia della Tunisia affinché venga considerata come un paese solo africano, e non più anche arabo e musulmano”, ha sostenuto Saied, tirando in ballo la questione smentita ovunque della “grande sostituzione”. Il riferimento è all’immigrazione sub-sahariana, con numeri che sono stati gonfiati in milioni di arrivi, quando invece si parla di 250mila immigrati totali presenti in Tunisia.

Linguaggio e ideali che sono sempre più in linea con quelli del Partito nazionalista tunisino, una realtà politica minoritaria di estrema destra con cui Saied sta sempre più flirtando negli ultimi tempi. E prese di posizione che avvengono a poche settimane dalla visita in Tunisia dei ministri italiani Antonio Tajani e Matteo Piantedosi, con cui sono stati firmati accordi che prevedono un impegno di Tunisi a bloccare le partenze di migranti verso l’Italia, in cambio di risorse economiche necessarie per risollevare l’economia tunisina.

Il mix della ricerca di un capro espiatorio, i migranti appunto, e della necessità di sgonfiare il loro arrivo nel paese visti gli impegni siglati a livello internazionale con l’Italia e non solo, potrebbe spiegare il nuovo corso xenofobo di Saied. Il risultato è che gli episodi di violenza razzista nel paese si sono impennati, tra rastrellamenti nelle case a caccia delle persone irregolari e aggressioni in strada. E la gente è tornata in piazza contro il presidente.

Quale futuro per la Tunisia?

“L’elezione di Saied nel 2019 è arrivata a causa della disillusione nei confronti dei partiti tradizionali che, dal punto di vista popolare, hanno tradito i principi della rivoluzione del 2011”, spiega Leila Belhadj Mohamed, giornalista italo-tunisina. “Questa è la ragione per cui, inizialmente, la popolazione ha accolto con favore la deriva autoritaria iniziata nel luglio del 2021. A oggi, però, possiamo dire che c’è un’inversione di rotta, confermata anche dalla bassissima affluenza alle ultime elezioni legislative”.

Proteste in Tunisia
Proteste in Tunisia © Yassine Mahjoub/NurPhoto via Getty Images

Secondo Leila Belhadj Mohamed, il presidente Saied è sempre più solo alla guida di un Paese a rischio default finanziario, la cui crisi economica sta spingendo famiglie intere a tentare di lasciare la propria patria. “La mossa di stigmatizzare la popolazione migrante subsahariana è il tentativo di dirottare l’attenzione popolare su un nuovo nemico a cui dare la colpa della crisi economica – una narrazione che in Europa conosciamo bene – facendo leva sul razzismo storicamente assimilato dalla popolazione in epoca coloniale, anche per strizzare l’occhio all’Ue nella speranza di ottenere nuovi fondi”, spiega.

In questo contesto diventa difficile fare previsioni sul futuro. “Non sappiamo come evolverà la situazione, ma certamente la società civile avrà un ruolo essenziale nel contrastare Saied, esattamente come successe con Ben Ali“. La situazione in Tunisia appare insomma sempre più simile a una polveriera. La strada verso la democrazia imboccata nel 2011 appare interrotta, ma il popolo tunisino non vuole stare a guardare. E il futuro potrebbe essere ancora più complicato.

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