Paolo Conte – Nelson

Platinum

«Si nasce soli, si muore soli, nell’intervallo è tutto

un gran traffico», ha detto una volta Conte della vita, e
sembra davvero che anche in questo suo ultimo lavoro ci sia un gran
traffico di pensieri in cui si incrociano nostalgie, noie,
meraviglie e perché no, anche di un po’ di amore che
naturalmente non è niente di travolgente, ma riesce
timidamente a stupire. Le canzoni di questo Nelson sono delicate,
lievi come le storie che si raccontano, hanno la consistenza di una
piuma, in grado di fare, tutt al più, un piacevole solletico
o magari infastidire leggermente senza causare stravolgimenti
né di pensiero, né di umore. Non ci sono sentimenti
forti in queste 15 tracce, ma chi conosce Conte nemmeno se li
aspetta, da sempre gli argomenti preferisce sfiorarli, osservarli
furtivamente cogliendone l’imbarazzo o l’intrigo senza che importi
molto approfondirne il perché. Ma perché Nelson? Non
ci sono richiami al grande ammiraglio, piuttosto al suo vecchio
cane che non c’è più. Un affettuoso ricordo avvolto
da un po’ di malinconia che a ben guardare annuncia già la
filosofia delle canzoni dell’album. Conte sembra affidarsi alla
memoria in modo disordinato, spazia nel tempo e nello spazio
seguendo una sua geografia personale, un orientamento che lo porta
istintivamente nei suoi luoghi prediletti, laggiù dove si
balla il mambo o la rumba, nei locali dove suonano le orchestrine e
i sentimenti si perpetuano nel ballo, in quei luoghi dove si
consumano storie minime. Ogni ricordo ha la sua lingua e
così non c’è stupore a sentirlo alternare
all’italiano il francese, l’inglese, lo spagnolo e il napoletano;
ogni linguaggio ha la sua musicalità che si adatta
perfettamente al contesto, per cui non è strano che questo
Nelson sia un’esplosione di colori e di ritmi. I musicisti,
consolidati e bravissimi, accentuano gli spunti e ci regalano
atmosfere che vanno dal burlesque alla rumba sempre con l’idea che
si stia ascoltando del jazz, anche se il jazz in senso stretto
proprio non c’è. Conte ha ormai da tempo fatto sua la
capacità di rendere rotonda la sua musica: tutto è
presente ma tutto è smussato per cui si ha l’impressione
della complessità senza in realtà capire bene da cosa
sia formata. Piace, stupisce e tanto basta. Queste canzoni ci
possono accompagnare come colonna sonora perfetta sia in quei
momenti in cui avremmo bisogno di un maggiordomo abile e premuroso
che ci risolva qualsiasi problema (magari proprio del Jeeves di
Woodhouse di cui parla il pezzo omonimo), sia quando ci sentiamo
tonici e perfettamente in grado di badare a noi stessi (Bodyguard
For Myself). Sempre ne troveremmo piacere.

Roberto Caselli

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