Covid-19

Come se la sono passata le api durante il lockdown

Il blocco ha creato problemi ad alcuni apicoltori, in molti casi però le api hanno beneficiato della nostra forzata reclusione ricordandoci, ancora una volta, che effettivamente siamo noi a disturbare la natura.

A causa della pandemia di Covid-19 siamo rimasti confinati nelle nostre abitazioni per quasi due mesi. Un tempo che ci è parso interminabile ma che, chiaramente, è assolutamente irrisorio dal punto di vista dei cicli naturali. La nostra forzata assenza non può pertanto aver provocato una miracolosa rinascita della natura.

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Questo breve tempo può tuttavia essere sembrato lungo alle creature più piccole, come le api, che potrebbero aver effettivamente tratto giovamento dalla nostra reclusione. “Le api, come tutti gli insetti, sono animali piccolissimi che hanno cicli di vita molto molto brevi – ha spiegato Gianumberto Accinelli, entomologo e scrittore –. La maggior parte degli insetti, ad esempio, ha più di una generazione all’anno, riescono pertanto ad adattarsi a nuove condizioni particolarmente in fretta”.

Ape nel Regent's Park, a Londra
Dal 1980 al 2010, la popolazione mondiale di api e vespe si è ridotta del 36 per cento. Le api sono minacciate soprattutto dai prodotti chimici utilizzati in agricoltura, come pesticidi e insetticidi. In particolare il pericolo principale è rappresentato da una famiglia di insetticidi, i neonicotinoidi © Dan Kitwood/Getty Images

Come il lockdown ha favorito le api

Le nuove condizioni si sono rivelate particolarmente favorevoli per le api, le cui popolazioni globali sono in calo a causa della perdita di habitat e dei pesticidi. Il blocco della maggior parte delle attività ha infatti creato un ambiente più a misura d’ape. È stata innanzitutto interrotta l’ossessiva pulizia ai bordi delle strade, consentendo alle piante di crescere e fiorire, offrendo un’ulteriore e inaspettata fonte alimentare alle api e agli altri impollinatori. Queste aree circoscritte, ultima roccaforte di numerose specie vegetali, quasi ovunque sfrattate dal cemento e dall’agricoltura intensiva, possono ospitare centinaia di specie di piante selvatiche, che però abitualmente non fanno in tempo a fiorire e a riprodursi, a causa della pulizia delle strade.

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La riduzione del traffico veicolare ha avuto un duplice impatto positivo: da un lato la carenza di automobili ha, inevitabilmente, comportato un calo delle collisioni mortali (secondo uno studio del 2015, ogni anno, solo in Nord America, le auto uccidono 24 miliardi di api e vespe), dall’altro c’è stata una significativa diminuzione dell’inquinamento atmosferico. Lo smog non danneggia direttamente le api, “è un problema che riguarda più noi mammiferi – ha affermato Accinelli – gli insetti hanno un’altra respirazione, per cui riescono a gestirlo molto meglio”, influenza però l’intensità del profumo dei fiori. Secondo uno studio pubblicato nel 2016, infatti, gli inquinanti, come l’ozono, alterano la composizione chimica dei fiori, confondendo le api e rendendo loro più difficile e dispendiosa l’individuazione del cibo.

Le transenne vietano l'ingresso al Greenwich Park, Londra, Inghilterra
La sospensione dei lavori di manutenzione delle aree verdi e dello sfalcio dei brodi delle strade, ha contribuito a creare habitat idonei per le api © Peter Summers/Getty Images

Un’occasione da non sprecare

Questi cambiamenti, di cui le api e altri organismi hanno beneficiato, sono chiaramente frutto della eccezionale situazione che stiamo vivendo e potrebbero scomparire non appena le attività umane riprenderanno. In alcuni casi basterebbe tuttavia poco per mantenere i benefici cui stiamo assistendo, mentre in altri occorrerebbero interventi più strutturali, ma necessari.

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“Spero che questa situazione ci insegni una cosa – ha detto Accinelli – che effettivamente siamo noi a disturbare la natura. Non abbiamo più scuse, siamo noi, personalmente, singolarmente, che con i nostri comportamenti, spesso non ecosostenibili, creiamo dei danni all’ambiente. È sotto gli occhi di tutti che, al di là delle api, l’aria è più pulita, il cielo è azzurro e si sente il profumo dei fiori. Mi auguro quindi che questa consapevolezza rimanga anche dopo la fine della reclusione forzata, perché se no si tratterebbe solo di un momento. Per due mesi le api hanno mangiato, si sono nutrite dei fiori selvatici che crescevano anche in città e poi è finito tutto”.

Arnie nella campagna vicino a Muncheberg, Germania
I paesi che necessitano di importare api regine per rifornire le proprie colonie hanno risentito particolarmente dei blocchi imposti dai governi per frenare la diffusione del coronavirus © Sean Gallup/Getty Images

Il blocco ha ostacolato gli apicoltori

Se, nel complesso, le api hanno goduto di un ambiente più sano e di più cibo, è anche vero che durante il lockdown molti apicoltori hanno avuto problemi a raggiungere i propri sciami e, quindi, a nutrire le api e prendersi cura di loro. In Europa molti apicoltori sono stati in grado di muoversi all’interno dei confini statali, ma in alcuni paesi, come la Grecia, è stato vietato loro di percorrere lunghe distanze per consentire alle api di impollinare.

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Marco Zucchetti, il primo apicoltore di Bee my Future, il progetto di LifeGate per salvare le api, ha confermato i problemi avuti dagli apicoltori. “Raggiungere le api durante la quarantena è stato in effetti problematico per alcuni apicoltori. La nostra associazione (l’Associazione produttori apistici della provincia di Milano ndr) si è però attivata e, con un legale, abbiamo predisposto una certificazione sulla base di quella fatta dal ministero. I nostri associati in questo periodo sono pertanto riusciti ad andare dalle api, pur facendolo il meno possibile, compatibilmente con le limitazioni. Quindi, seppur con un po’ più di fatica del solito, siamo comunque riusciti ad accudire le api”.

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Zucchetti ci ha però anche fornito una testimonianza diretta dell’attuale, inusuale, benessere delle api. “Devo dire che non ho mai avuto le api così belle come quest’anno. Non so quali siano le cause. Nelle zone intorno alla cintura urbana ci sono stati effettivamente meno sfalci. Non so se dipende da questo, quello che so, in base all’evidenza empirica, è che le api quest’anno stanno meglio del solito: gli alveari sono più popolosi, ci sono più api. C’è anche da dire che quest’anno la stagione è anticipata, fa già caldo e le temperature miti favoriscono le api. La produzione di miele non ha subito però variazioni, non è migliorata, ritengo a causa della forte siccità. Alcune condizioni positive, come la maggior presenza di fiori ai bordi della strade, sono state controbilanciate da una condizione negativa, la carenza di acqua che ha determinato una minor produzione di nettare”.

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Il 20 maggio festeggiamo le api

Senza le api il mondo sarebbe profondamente diverso e dovremmo ripensare la nostra alimentazione. Questi insetti, secondo la Fao, sono infatti determinanti per l’impollinazione di ben 71 delle 100 colture che rappresentano il 90 per cento del cibo consumato in tutto il pianeta. Da oltre trenta milioni di anni le api aiutano i fiori a espandere il proprio areale e a riprodursi, garantendo il mantenimento della biodiversità e contribuendo perfino a ripristinare le aree prossime alla desertificazione.

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Per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza delle api e, soprattutto, chiedere alla classe politica azioni concrete per la loro tutela, il 20 maggio si celebra la Giornata mondiale delle api. La giornata è stata istituita dalle Nazioni Unite il 20 dicembre del 2017 ed è stata festeggiata per la prima volta il 20 maggio 2018. Per celebrare la giornata e in occasione del suo centenario, Monini, storica azienda produttrice di olio extravergine di oliva, già protagonista di numerose azioni in tutela di questi preziosi impollinatori, ha deciso di adottare 100mila api.

Un'ape in volo si avvicina ad un fiore a Berlino, Germania
In tutto il mondo il numero di insetti è in drammatico declino, con un tasso di estinzione otto volte più rapido di quello dei vertebrati © Sean Gallup/Getty Images

Più fiducia nella natura

Le storie sulla “natura che si riprende i suoi spazi”, particolarmente abbondanti nel recente cupo periodo, sono talvolta esagerate, edulcorate o, addirittura, false. È però autentica la capacità dei sistemi naturali di ripristinarsi, anche in tempi relativamente brevi, non appena la pressione antropica diminuisce. Secondo uno studio del 2019, ad esempio, oltre cento milioni di ettari di foreste pluviali tropicali gravemente danneggiate potrebbero essere recuperati.

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“La natura si auto-aggiusta, come abbiamo visto, in poco tempo alcuni equilibri si sono riassestati – ha dichiarato Accinelli -. Alle volte basterebbe lasciare fare alla natura, non sempre chiaramente, dipende dalla situazione, abbiamo però questa tendenza interventista che spesso è addirittura dannosa”. La quarantena ci ha mostrato come può bastare fare un passo indietro per permettere ad alcuni meccanismi ecologici di ripartire, ora è il momento di avere fiducia nella natura e nei suoi processi, lasciare che trovi la propria strada, e resistere alla pulsione di controllarla.

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