La Generazione Z sta guidando le proteste antigovernative in diversi paesi del mondo

Dal Nepal al Marocco, dal Madagascar al Perù, molte delle proteste antigovernative di queste settimane sono guidate dalla Generazione Z.

È un periodo di grandi proteste antigovernative in giro per il mondo. Dal Sud-Est asiatico all’America latina, passando per l’Europa, migliaia di persone stanno scendendo in piazza contro i rispettivi governi, per rivendicare diritti di base e per protestare contro la corruzione.

Negli ultimi giorni ci sono state manifestazioni in Argentina dopo gli ennesimi femminicidi, sono andate avanti le proteste in Nepal e nelle Filippine contro la corruzione della classe politica di governo, si sono verificati scontri in India durante una serie di presidi per l’autonomia della regione del Ladakh, sono esplose proteste in Perù contro il governo della presidente Dina Boluarte mentre in Slovacchia la gente è scesa in piazza in opposizione al piano di consolidamento dei conti pubblici varato dal governo. Altre proteste hanno scosso il Madagascar, il Marocco e l’Ecuador, mentre in Serbia cortei, blocchi e presidi vanno avanti dalla fine del 2024.

Mobilitiazioni con obiettivi e geografie differenti che hanno spesso un elemento comune: la folta presenza, se non la guida, da parte dei più giovani, la Generazione Z.

Le proteste in Argentina

In Argentina l’ondata di proteste è scoppiata dopo il triplice femminicidio di Lara Gutiérrez, 15 anni, e delle sue due cugine, Brenda del Castillo e Morena Verdi, entrambe 20 anni. Le giovani erano scomparse lo scorso 19 settembre dopo essere state attirate a una festa e sono state ritrovate sepolte nella periferia di Buenos Aires, con una diretta streaming dei femminicidi su un canale social privato.

Nei giorni seguenti alla scomparsa e al ritrovamento migliaia di persone, guidate dal movimento “Ni Una Menos” e da migliaia di ragazze e ragazzi, sono scese in piazza contro la violenza di genere nel paese. Nel 2024 ci sono 267 femminicidi e lo storico racconta di un trend stabile da anni, che non accenna a diminuire. Ecco perché le manifestazioni dei giorni scorsi sono state anche un atto di accuse alle istituzioni e al loro immobilismo davanti alla violenza di genere e più in generale alla criminalità nel paese, così come all’assenza di misure e iniziative di prevenzione.

Le proteste in Nepal

In Nepal le proteste sono esplose a inizio settembre, dopo che il governo aveva annunciato un blocco a numerosi siti web, tra cui i social network Instagram e Facebook. In breve si sono trasformate in una critica diffusa al governo e a una classe politica corrotta e agiata, mentre la gran parte della popolazione vive in condizioni difficili.

Le manifestazioni più dure sono scoppiate l’8 settembre, guidate dai giovani della Generazione Z che hanno anche iniziato a usare il social network Discord per organizzarsi e dare linee guida sulla formazione di un nuovo governo, dopo le dimissioni di quello guidato da KP Sharma Oli. Le proteste sono state represse in modo brutale, con almeno 72 morti e centinaia di persone ferite e arrestate. Il 14 settembre è stata nominata una nuova premier, Sushila Karki, apprezzata dai manfestanti e che si è impegnata a restare al governo per un massimo di sei mesi.

Le proteste in Madagascar

Anche il Madagascar nelle ultime settimane ha vissuto proteste diffuse, scatenate dall’esasperazione per le continue interruzioni di energia elettrica, che possono andare avanti anche per oltre 12 ore al giorno, e i problemi di approvvigionamento idrico.

Le manifestazioni sono guidate soprattutto da giovani e studenti, la stessa Generazione Z che ha portato avanti le proteste in Nepal, con un uso massiccio dei social network per organizzarsi e diffondere appelli. I cortei hanno interessato la capitale Antananarivo e altre città, con barricate, saccheggi, incendi e scontri con le forze dell’ordine, che hanno usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma portando a una condanna verbale da parte dell’Onu. Il bilancio provvisorio è di almeno 22 morti, mentre il presidente Andry Rajoelina ha destituito il governo.

Le proteste nelle Filippine

Anche le Filippine nelle ultime settimane sono state interessate da una serie di proteste di piazza contro la corruzione e la classe politica.

La questione riguarda i progetti statali di controllo delle inondazioni e una serie di presunte tangenti. Un audit governativo ha rivelato che, su 545 miliardi di pesos stanziati dal 2022, molti progetti risultano privi di documentazione o inesistenti mentre 15 tra oltre 2mila appaltatori accreditati, quelli con maggiori connessioni con la classe dirigente politica, hanno incassato il 20 per cento del budget complessivo. Il 21 settembre si è tenuta un’altra, grande, manifestazione a Manila, che ha visto la partecipazione di migliaia di persone contro la corruzione dilagante nel paese. Il bilancio della giornata è stato di 49 arresti.

Le proteste in India

Negli ultimi giorni nel Ladakh, regione dell’India, ci sono state grosse manifestazioni che sono state represse con la violenza, con quattro morti e decine di feriti

Le persone sono scese in piazza a Leh, dove hanno assaltato la sede del partito di governo di Narendra Modi, e in altre città per chiedere uno status speciale e una maggiore autonomia costituzionale, che un tempo c’era e poi è stata revocata nel 2019 nell’ambito delle dispute territoriali con il Pakistan. Anche in questo caso le proteste sono guidate perlopiù da giovani, studenti e attivisti, la Generazione Z, ma vi partecipano anche figure storiche come Sonam Wangchuk, un ambientalista che da settimane portava avanti uno sciopero della fame. Proprio l’ospedalizzazione coatta degli attivisti in sciopero della fame è stata la scintilla che ha fatto scattare le proteste.

Il governo indiano ha risposto ai disordini imponendo un coprifuoco e sospendendo internet, così da ostacolare la capacità di organizzazione dei manifestanti.

Le proteste in Perù

A inizio settembre il governo del Perù ha approvato una riforma delle pensioni che obbliga tutti gli over 18 ad aderire a fondi pensione privati. Questo ha scatenato profonde proteste, in un paese dove quasi una persona su tre vive sotto la soglia di povertà e la presidente Dina Boluarte è sempre più impopolare.

A guidare le manifestazioni sono i più giovani con il collettivo Generazione Z, in quello che è diventato un grido collettivo contro la corruzione politica, dopo una serie di scandali recenti, ma anche contro la criminalità montante nel paese e la mancata presa di responsabilità da parte delle istituzioni per le vittime delle proteste del 2022. Le autorità hanno risposto in modo violento alle proteste. I cortei del 27 settembre nella capitale Lima hanno fatto registrare un bilancio di 19 feriti.

Le proteste in Slovacchia

Tra i paesi che nelle ultime settimane sono stati interessati da proteste c’è la Slovacchia. Qui la miccia è arrivata da una serie di misure di austerità imposte dal governo del Primo Ministro Robert Fico, come aumenti di tasse e contributi sociali, rialzi dell’Iiva su alcuni alimenti e la possibile cancellazione di giorni festivi nazionali.

Questo malcontento di tipo economico ha fatto poi venire a galla altri malumori nei confronti del governo, in particolare i rischi di una deriva politica autoritaria, dopo una serie di attacchi alle Ong da parte di Fico, che ha anche preso posizioni filorusse. Un primo corteo composto da quasi 20mila persone ha sfilato per la capitale Bratislava il 17 settembre, una scena che poi si è ripetuta la settimana successiva.

Le proteste in Marocco

Alla fine di settembre 2025 anche il Marocco ha visto scoppiare una nuova ondata di proteste giovanili, guidate da movimenti come GenZ 212 e Morocco Youth Voice

Tutto è partito dalla morte di alcune donne durante parti cesarei negli ospedali del paese, che hanno fatto esplodere la rabbia per gli scarsi investimenti dello Stato nella sanità e negli altri servizi pubblici, oltre che per la corruzione dilagante. L’accusa è anche contro le tantissime risorse finanziarie utilizzate per l’organizzazione dei Mondiali di Calcio 2030 e per la Coppa d’Africa. Il governo ha messo in moto la macchina della repressione e decine di manifestanti sono stati arrestati. Allo stesso tempo ha promesso risposte alle rivendicazioni dei collettivi giovanili, che continuano a organizzare in modo orizzontale le proteste.

Le proteste in Ecuador

In Ecuador le proteste sono esplose a metà settembre, a seguito di una riforma governativa che abolisce il sussidio sul diesel e portando a un innalzamento dei prezzi da circa 1,80 a 2,80 dollari al gallone. In piazza sono scese le persone più colpite da questa misura, in particolare agricoltori, trasportatori e comunità indigene, per cui il carburante è vitale per la vita quotidiana e la produzione.

A guidare le proteste è il Conaie, la Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador, ma un ruolo chiave è svolto anche dagli studenti. I manifestanti hanno bloccato strade e autostrade e convocato scioperi nazionali, mentre il presidente Daniel Noboa ha dichiarato lo stato di emergenza e imposto coprifuochi. Ci sono stati scontri con la polizia e questo ha portato alla morte di almeno un manifestante, mentre i feriti e gli arresti sono decine.

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