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L’analisi di un coltivatore bio sulle proteste degli agricoltori
Riceviamo e pubblichiamo un approfondito commento di un agricoltore biologico sulle proteste di contadini e agricoltori in corso in tutta Europa.
Sono un piccolo agricoltore biologico, la mia Eco Fattoria il Sogno Verde produce olio extravergine di oliva nella Tuscia. A partire dal suo inizio in Germania ho seguito la rivolta dei trattori, cercando di capire quali fossero le ragioni degli agricoltori coinvolti, valutando la possibilità di unirmi alla protesta. I problemi in agricoltura sono molteplici e reali, credo sia giusto porre la questione al centro del dibattito politico e soprattutto informare correttamente le persone su un settore strategico per l’Europa, che soddisfa il bisogno primario dell’alimentazione, disegna i nostri paesaggi, influisce sul clima e rappresenta una componente importante della cultura italiana. Ho scoperto però di essere in un quasi totale disaccordo con le rivendicazioni portate avanti da questa parte degli agricoltori. Ho notato, infine, narrazioni parziali, superficiali e generalizzate da parte dei media e tentativi di strumentalizzazione delle proteste degli agricoltori da parte della politica, principalmente in ottica anti Green deal. L’opinione pubblica è dalla parte degli agricoltori, ma è vittima di disinformazione e strumentalizzazione; ho quindi cercato di fare chiarezza in modo schematico sulle ragioni della mia categoria e sulla gestione europea e italiana del settore.
Riflessioni di un agricoltore biologico sulle proteste degli agricoltori: premessa
Gli agricoltori non sono tutti uguali e non hanno tutti gli stessi interessi. Un grande allevatore e un piccolo agricoltore sono diversi come possono esserlo una grande industria e un artigiano. Un agricoltore biologico e un agricoltore convenzionale spesso hanno interessi contrapposti.
La Pac al centro delle proteste
La Pac (Politica agricola comune) è un sostegno economico all’attività agricola sulla base di diversi fattori, di cui il più importante è la quantità di terreno agricolo di un’azienda. Viene finanziata dall’Unione europea e dagli Stati membri. Serve ad aiutare il comparto agricolo, strategico per l’Europa, storicamente non in grado di sostenere autonomamente i costi di produzione e carente sul fronte del ricambio generazionale per questioni culturali.
La Brexit ha determinato una riduzione dei fondi per la Pac, essendo la Gran Bretagna uno degli Stati che maggiormente contribuivano. L’industria, i grossisti e la grande distribuzione tengono però conto degli aiuti percepiti dagli agricoltori, nella determinazione del prezzo all’ingrosso dei prodotti agricoli: se non esistesse la Pac i prezzi ora pagati al produttore non basterebbero alla sopravvivenza di molte aziende e il mercato si regolerebbe, quindi, su prezzi più alti. Negli ultimi tempi l’inflazione ha determinato un innalzamento dei costi di produzione, difficilmente sostenibili da molte aziende, soprattutto perché il prezzo dei prodotti agricoli al produttore non ha sempre subito lo stesso incremento.
L’Europa si è poi sempre più impegnata per la riduzione dell’inquinamento, delle emissioni di anidride carbonica, per la preservazione dell’ambiente e per il benessere animale, legando la Pac al raggiungimento di questi obiettivi. Quindi, chi meno inquina con la nuova Pac riceve maggiore sostegno economico. In quanto agricoltore biologico impegnato a preservare la biodiversità la mia Pac non è diminuita.
A causa dei cambiamenti climatici le produzioni agricole si sono sensibilmente ridotte e la tendenza è in aumento; l’allevamento (a causa soprattutto dell’allevamento intensivo) contribuisce per il 14,5 per cento alle emissioni totali di gas serra; c’è quindi estremo bisogno di politiche che mirino a invertire il riscaldamento globale.
La politica italiana in maniera bipartisan, come ho potuto constatare anche da delegato sindacale, si batte contro le direttive europee per diminuire i fondi destinati all’agricoltura biologica perché gli agricoltori biologici sono una minoranza rispetto a quelli convenzionali. Gli agricoltori, in modo poco lungimirante, in questo momento protestano contro questo nuovo sistema di distribuzione della Pac che premia gli agricoltori che non inquinano. Diverso sarebbe invece protestare perché la Pac fosse rivalutata con l’inflazione.
Il gasolio per gli agricoltori
Gli agricoltori chiedono una diminuzione delle accise sul gasolio, il cui prezzo, non solo per la nostra categoria, è molto aumentato. L’Europa in alcuni casi persegue la sua politica verde distaccandosi dalla realtà, contribuendo ad operazioni di greenwashing o con crociate che non tengono conto della complessità della nostra società. Così è nei confronti dei mezzi agricoli a gasolio che sono quasi gli unici a essere prodotti e ad avere costi accessibili per le piccole imprese agricole. Nei bandi dei finanziamenti pubblici per l’acquisto di macchinari agricoli spesso possono essere inseriti solo veicoli elettrici, che, nella maggior parte dei casi, per ora, sono una chimera.
Tenendo anche conto del fatto che una piccola azienda biologica, con oliveti, frutteti, seminativi e boschi, come la mia, nonostante possieda un trattore a gasolio, consuma molta più CO2 di quanta ne produce, contribuendo a ridurre i gas serra prodotti da altri, la lotta contro i macchinari agricoli a gasolio non sembra una priorità nel contrasto ai cambiamenti climatici.
Le tasse
Il pagamento dell’Irpef per l’attività agricola era stato sospeso negli ultimi anni, si tratta comunque di una piccola tassa, calcolata sulle rendite catastali dei terreni e non sui guadagni percepiti dagli agricoltori. In ogni caso, credo che, in un momento di difficoltà per il comparto, non sia stata una grande idea del governo quella di ristabilirla.
Coldiretti e i sindacati di categoria
Le associazioni e i sindacati di categoria gestiscono una grande fetta dei fondi destinati all’agricoltura e i rapporti con la politica, sono l’intermediario obbligatorio tra gli agricoltori e la pubblica amministrazione che eroga la Pac. Sembrano avere interessi non sempre coincidenti con quelli degli agricoltori. Un agricoltore non può consultare tutte le sezioni, né operare autonomamente sulla propria posizione nel sistema informatico nazionale Sian (come avviene invece per Inps e Agenzia delle Entrate), perché queste sono prerogative esclusive dei sindacati e dei Caa da questi controllati. Quest’ultimo dovrebbe essere motivo di protesta.
Il prezzo dei prodotti agricoli al produttore
Gli agricoltori dovrebbero venir meno al controllo dell’industria, dei grossisti e della grande distribuzione. L’unica possibilità di scardinare questo sistema in un’economia di mercato è quella di trasformare e vendere autonomamente i propri prodotti. Purtroppo gli agricoltori, con un’età media elevata, non sono molto propensi ai cambiamenti.
Inoltre, l’Italia sia a livello nazionale che locale, contro le leggi italiane e le normative europee sulle liberalizzazioni, impedisce in molti casi agli agricoltori innovativi di vendere direttamente i propri prodotti trasformati nei propri locali o su suolo pubblico. Il Comune di Roma, ad esempio, ha un regolamento illegittimo che vieta l’occupazione di suolo pubblico con tavoli e sedie agli agricoltori contro il decreto Bersani. Il Comune di Viterbo lo vieta semplicemente non applicando la legge a livello amministrativo, con la complicità della politica, per difendere i privilegi di baristi e ristoratori. La Regione Lazio premia le aziende agricole inserite in una filiera rispetto a chi fa vendita diretta assegnando maggior punteggio nei bandi per l’assegnazione di fondi europei.
Si dovrebbero poi mettere in atto controlli sul lavoro nero nelle aziende italiane, a oggi molto rari, per impedire a imprese agricole senza scrupoli di abbattere i costi sulla pelle dei lavoratori, facendo concorrenza sleale. Infine, sia l’Italia che l’Europa dovrebbero mettere in atto una politica che miri a formare i cittadini sul cibo e obblighi a inserire in etichetta la provenienza precisa dei prodotti alimentari, con menzione particolare a quelli provenienti da nazioni che non rispettino le normative sulla sicurezza alimentare e sul lavoro europee.
L’agrivoltaico
L’agrivoltaico un sistema di produzione di energia elettrica con pannelli fotovoltaici posti su una piccola percentuale di un terreno, a un’altezza tale che con lo spostarsi del sole è compatibile con la coltivazione sottostante. Sicuramente per questioni paesaggistiche sarebbe da preferire l’installazione di pannelli sui tetti, ma, al contrario delle centrali fotovoltaiche tradizionali, in mano ad aziende non agricole, questo sistema consente la coltivazione del terreno, non sottraendo spazio all’agricoltura. Oltre a produrre energia rinnovabile rappresenta una fonte di reddito aggiuntiva per gli agricoltori. Si tratta quindi di una misura a favore e non contro l’agricoltura.
La manodopera agricola
In Italia c’è una forte carenza di operai agricoli, soprattutto stagionali, perché questo lavoro non è appetibile per la maggior parte degli italiani, sia per questioni culturali, sia perché sono diffuse forme di sfruttamento. Ci sarebbe quindi bisogno di un flusso costante di immigrazione per motivi di lavoro, che non fosse strumentalizzato dalla politica, e della regolarizzazione degli immigrati attualmente nel nostro Paese senza documenti che facessero richiesta di essere assunti in aziende in cerca di manodopera, contrastando in questo modo anche i fenomeni di lavoro nero, sfruttamento e caporalato.
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