Rame, grafite e calamari: le innovazioni che rivoluzionano l’industria tessile

La sostenibilità si nutre di innovazioni. Nel tessile vediamo l’applicazione virtuosa di tecnologie che apparentemente non c’entrano nulla.

  • Capita che spesso che innovazioni sviluppate in altri settori come biologia, edilizia e ambito militare, vengano poi mutuati nel tessile per risolvere problemi o efficientare processi.
  • In fatto di sostenibilità molte di queste innovazioni potrebbero portare enormi vantaggi perché sviluppate per risolvere problemi non connessi con il tessile, ma che poi trovano ampio impiego anche lì.
  • Efficientare i processi, rendere le fibre più durevoli o termorogolanti, ridurre a zero gli sprechi sono tutte cose possibili grazie a tecnologie nuove e vecchie che oggi vengono applicate a questo settore.

Un tessuto dalle super proprietà creato imitando i calamari

La biologia sintetica probabilmente costituirà uno dei settori trainanti dei prossimi decenni. La ricerca in questo ambito, sebbene spesso abbia contorni un po’ inquietanti – si tratta in sostanza di ricreare in laboratorio esseri viventi o parti di essi – sta galoppando e le sue destinazioni d’uso non si limitano alla medicina, ma arrivano anche in settori apparentemente totalmente avulsi come quello del tessile. Pare ad esempio che, a partire dai geni contenuti nei tentacoli dei calamari, si possano estrarre delle fibre con proprietà termoplastiche. È quello che fa l’azienda Tandem Repeat di Philadelphia che, forte di dieci brevetti e di una raccolta fondi di 5,6 milioni di dollari, ha speso cinque anni per arrivare alla definizione di una molecola che imita l’anello dentale dei calamari. Quello che si ottiene, è in sostanza, una polvere proteica che viene sciolta in un solvente – che poi può essere riciclato – e così facendo produce una fibra che la società ha chiamato Squitex e che può essere combinata con altre fibre tessili per creare degli abiti.

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Riproducendo in laboratorio un gene contenuto nei tentacoli dei calamari è possibile creare una fibra tessile resistentissima © Jonathan Diemel

Ma perché tra tutti gli organismi esistenti al mondo quest’azienda di Philadelphia è andata a replicare proprio i calamari? La prima ragione si trova in una resistenza e in una durabilità senza pari garantita con un impiego minimo risorse naturali (i calamari vengono solo presi a modello per replicare le loro molecole, non vengono coinvolti nel processo perché le molecole sono appunto ricreate in laboratorio), di suolo e di energia, ma non solo: oltre ad essere biodegradabile questa fibra ha anche proprietà auto-riparatrici. Un pezzo di stoffa ottenuta con Squitex, se tagliato, si riesce a riparare facilmente immergendo in acqua il tessuto e accoppiandolo con un nuovo strato: è quello che si vede in un video dimostrativo sul sito della Tandem Repeat ma, al di là di questa applicazione che forse poi in pochi userebbero, il vantaggio vero sta nella resistenza stessa della fibra e nella sua durabilità.

Rame nelle fibre per renderle autopulenti

Il dottor Rajesh Ramanathan è un ricercatore della Ian Potter NanoBioSensing Facility e del NanoBiotechnology Research Lab dell’RMIT University di Melbourne, in Australia, e con il suo team ha messo a punto una tecnologia in grado di rendere le fibre tessili autopulenti. O meglio, questa tecnologia fa sì che posizionando il tessuto sotto la luce le macchie si “sciolgano”.

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Inserendo del rame o dell’argento nei tessuti si può innescare un meccanismo che fa “sciogliere” le macchie con l’esposizione solare © Jason Briscoe

Questo succede quando nelle fibre tessili vengono posizionate delle nanostrutture a base di rame e argento: queste sono in grado di assorbire la luce e far sì che le nanoparticelle metalliche si eccitino producendo il degradamento della struttura organica che costituisce le macchie. In pratica le macchie si degradano grazie all’energia solare, o anche a quella di una semplice lampadina, in un processo che può durare da pochi minuti a mezz’ora. Chiaramente questa è una sperimentazione del tutto embrionale, il sistema al momento è stato testato sulle macchie, ma non sul sudore ad esempio, ma nel caso ci fosse un margine di applicazione pratica consentirebbe innanzitutto di risparmiare moltissima acqua – quella data dai lavaggi domestici – e poi di evitare il disperdersi di microplastiche nel caso degli abiti realizzati con fibre sintetiche.

Grafite nei jeans per renderli antibatterici e termoregolati

Oltre a rame e argento, c’è chi ha pensato di accoppiare alle fibre tessili anche il carbonio. Il grafene, che altro non è che carbonio, ha la fama di materiale delle meraviglie grazie alle sue moltissime proprietà, tra cui spiccano quella di essere un eccellente conduttore, quindi anche un regolatore della temperatura, e di avere una funzione antibatterica. L’azienda produttrice di denim Candiani, collaborando con Directa Plus – leader di mercato nella produzione di grafene – ha realizzato un jeans che ha chiamato Graphito con l’obiettivo di produrre un pantalone che sia facilmente indossabile sia d’estate che d’inverno e che necessiti di meno lavaggi del normale.

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Inserire nel denim la polvere di grafene fa sì che si debbano lavare meno frequentemente e che siano effettivamente indossabili sia in estate che in inverno © Claire Abdo

Il grafene nel denim ha la funzione di distribuire il calore in maniera più uniforme: gli effetti dei cambiamenti climatici fanno sì che il classico 14 once non sia più un pantalone adatto anche all’estate, momento dell’anno in cui le temperature sono troppo alte per indossare un indumento lungo di quella pesantezza in maniera confortevole: abbassarne il peso però significa renderli troppo leggeri per l’inverno. Il grafene, grazie alla sua attività di conduttore, elimina questo problema, non per niente viene utilizzato anche per realizzare le divise dei pompieri: da una parte riveste un’azione frangifiamma, e dall’altra si raffredda subito non appena il vigile del fuoco si è allontanato dalla fonte di calore mantenendo la temperatura corporea costante. Inoltre un tessuto, quando impregnato di grafene, è meno incline a generare muffe e batteri, lavarlo si rende quindi necessario meno frequentemente: un bel risparmio in termini di consumo idrico, se si considera che l’80 per cento dell’impatto sull’ambiente di un jeans durante il suo ciclo di vita è dato dai lavaggi domestici.

Stampanti 3D e realtà virtuale per evitare gli sprechi

Se i primi prototipi di stampanti 3D che hanno visto la luce verso la metà degli anni Ottanta non sembravano essere destinate ai tessuti, oggi sappiamo che tra le possibili applicazioni rientrano anche quelli. Questo tipo di produzione è particolarmente esaltata dal punto di vista della sostenibilità perché elimina completamente lo spreco di materie prime, permettendo di utilizzare solo ciò che serve ed eliminando così gli scarti dovuti ai tagli. Questo chiaramente ha anche un effetto sulla manodopera, che sarà necessaria in minor quantità e, al momento, è difficile ipotizzare se questo potrà cambiare le condizioni dei lavoratori in meglio o in peggio, ma sicuramente imporrà alle aziende del settore una riflessione sull’argomento.

Per le industrie tessili, la produzione di campioni è fondamentale: sono uno strumento essenziale per le campagne vendita, ma in definitiva hanno vita molto breve rispetto all’impiego – e allo spreco – di materiale che comportano. Ecco quindi che la realtà virtuale offre una possibile soluzione grazie ai sample digitali, che possono andare a sostituire quelli fisici durante le campagne vendita ed evitare un inutile spreco di risorse sia in termini di materiali che di consumo di CO2. Uno stesso campione, a seconda delle dimensioni dell’azienda, può viaggiare parecchio per il mondo prima di esaurire il suo compito, con i campioni digitali verrebbe meno anche il problema del trasporto.

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