44 ore di sonno in meno all’anno per il riscaldamento globale

Un nuovo studio condotto in 68 Paesi conferma il legame tra crisi climatica e problemi del sonno. E la situazione può ancora peggiorare.

  • L’aumento della temperatura conseguente alla crisi climatica riduce il sonno di 44 ore ogni anno e amplifica il rischio di riposo insufficiente. 
  • Se le emissioni di CO2 continueranno a crescere al ritmo attuale, entro il 2099 dormiremo 58 ore in meno all’anno.
  • Il fenomeno riguarda tutti. Tuttavia, anziani, donne e persone a basso reddito sono i più colpiti.

“Altri cinque minuti”. Rimandare la sveglia la mattina è una tentazione irresistibile, specie se la notte non si è dormito bene. Ai motivi già noti che disturbano il buon riposo, ora si aggiunge con certezza anche la crisi climatica. Una nuova ricerca globale conferma infatti l’influenza negativa del riscaldamento del Pianeta sulla durata e la qualità del nostro sonno, stimando un possibile peggioramento della situazione entro la fine del secolo.

Ci addormentiamo più tardi, ci alziamo prima, quindi dormiamo meno. Quanto? Lo misura per la prima volta in ore e minuti e su scala quasi mondiale lo studio condotto da Kelton Minor dell’Università di Copenhagen, in Danimarca. Nel periodo tra il 2015 e il 2017, il ricercatore ha raccolto una mole impressionante di dati tramite i braccialetti traccia-sonno indossati da 47.628 persone in 68 Paesi.

E qui arriviamo alle due grandi novità rispetto ai lavori precedenti: il tracciamento automatico e l’ampiezza geografica, che superano i vecchi metodi di indagine basati sull’autovalutazione dei partecipanti e concentrati in un solo Paese. I risultati emersi, seppur congruenti col passato, scattano una fotografia ancor più attendibile ed estesa.

sonno caldo cambiamento climatico
La probabilità di dormire meno di sette ore aumenta del 3,5 per cento se le temperature minime notturne esterne superano i 25° © iStock

14 minuti di sonno bruciano in ogni notte torrida

Minor e colleghi hanno confrontato i dati sul sonno con le informazioni metereologiche, scoprendo che nelle notti insolitamente calde ci si addormenta più tardi e ci si alza prima. Le evidenze suggeriscono che le persone stiano già perdendo in media 44 ore di sonno all’anno, che arriveranno a 58 entro il 2099 se le emissioni di CO2 resteranno ai livelli attuali.  “Vediamo che la latenza del sonno, cioè il ritardo nell’addormentarsi, è il motivo principale della perdita di sonno”, afferma Minor. Per l’esattezza, nello studio si è visto che una sola notte sopra i 30° riduce il periodo di riposo di circa quattordici minuti.

“Prima di tutto va chiarito che quella dei cambiamenti climatici sul sonno è un’influenza indiretta. Si tratta, cioè, di capire come innalzamento della temperatura, alluvioni, eventi atmosferici estremi, siccità e gelate giochino un ruolo nel peggƒiorare la qualità del sonno”, spiega a LifeGate Luigi De Gennaro, professore ordinario al Dipartimento di psicologia della Sapienza di Roma e segretario dell’Associazione italiana di medicina del sonno (Aims).

“Un quarto d’ora di ritardo nell’addormentamento sembra trascurabile ma non lo è affatto, per tre motivi. Il primo è che non siamo così lontani dalla soglia critica di latenza pari a 30 minuti, oltre la quale è più probabile sconfinare nella patologia. Il secondo motivo è che, quando si parla di riposo, anche un breve intervallo di tempo può impattare su aspetti rilevanti della nostra vita. Lo abbiamo dimostrato, ad esempio, con uno studio pilota sul posticipo dell’orario scolastico: l’ingresso in aula alle 9 anziché alle 8 ha consentito una maggiore durata del sonno, che a sua volta ha influito sui livelli di vigilanza degli studenti e migliorato l’attenzione e il rendimento a fine anno”.

Infine, conclude De Gennaro, c’è la questione degli estremi. Quattordici minuti è la media statistica di un ampio ventaglio di vissuti. Il punto di partenza per intuire che alcune persone non risentono affatto del caldo e altre invece iper-reagiscono, soffrendo maggiormente. Tra queste, rientrano donne, anziani e soggetti a basso reddito.

Anziani, donne e soggetti a basso reddito soffrono di più la mancanza di sonno

“Per gli anziani, che hanno una risposta termoregolatoria meno funzionale rispetto ai giovani, un solo grado in più nella temperatura minima raddoppia l’effetto che si vede nelle altre fasce di età. Anche le donne hanno qualche difficoltà in più nel prendere sonno, forse per via della maggiore quantità di grasso sottocutaneo che ostacola la perdita di calore del corpo”, sottolinea l’autore della ricerca danese. Mentre è assodato che il genere femminile e l’età che avanza siano prerequisiti frequenti per un riposo più breve o irregolare, meno evidente è il legame tra basso status sociale e scarsa qualità del sonno.

Sintetizzando molto, il riferimento è a chi non può permettersi l’aria condizionata, ma in realtà la questione è più ampia: entriamo nel campo della “giustizia circadiana”. Il neologismo è uscito dalla penna del professor Jonathan White della London School of economics and political science, che lo riassume così: “Non c’è uguaglianza senza uguaglianza del sonno”. Complice il costo dell’energia nelle bollette a livelli da capogiro, l’impressione è che ne sentiremo ancora parlare.

sonno caldo anziani
La perdita di sonno è stata tre volte maggiore per gli anziani nelle aree a basso reddito rispetto alle aree a reddito più alto © iStock

Al caldo non ci si abitua

Il funzionamento del corpo, invece, è uguale per tutti: attiva la termoregolazione per raffreddarsi e, oltre un certo limite, non si adatta al caldo. “Ogni notte la nostra temperatura interna ha un leggero calo. I vasi sanguigni si allargano, aumenta l’afflusso di sangue verso la pelle e rilasciamo calore verso l’esterno, raffreddandoci”, spiega Minor. “Ma se la stanza è già calda di suo, allora questa cessione di calore è ostacolata. E l’assopimento diventa difficile”.

Questione di abitudine? Purtroppo no. L’effetto delle notti afose è più marcato nei Paesi più caldi, segno che le popolazioni locali non si abituano. E non si vede nemmeno un adattamento stagionale: il sonno perso per ogni notte durante tutta l’estate non è inferiore a quello che si perde all’inizio dell’estate, quando il salto di temperatura è repentino”, conclude.

Non c’è uguaglianza senza uguaglianza del sonno

Jonathan White

Case più fresche

Obesità, indebolimento del sistema immunitario, sbalzi d’umore, cali cognitivi e di memoria sono alcune delle conseguenze associate alla scarsità di sonno. Prevenire questi problemi assicurandosi un buon riposo, anche in condizioni di caldo estremo, è tutt’altro che banale. Scricchiolano al sole i metodi “casalinghi” come fare una doccia fresca prima di coricarsi, utilizzare biancheria in fibre naturali o mantenere chiuse le imposte durante il giorno per ombreggiare la camera da letto: difficile immaginare che possano funzionare in scenari futuri ancora più roventi.

D’altra parte, l’uso del condizionatore non fa che aggravare il problema, tra il consumo di energia elettrica e le emissioni di gas serra. “Gli accorgimenti medici per favorire un buon sonno valgono quando migliorano comportamenti impropri delle persone e stili di vita. In questo contesto, invece, si tratta di progettare ambienti che permettano la termoregolazione del corpo. Sia in Oriente che in Occidente esistono tecniche architettoniche antichissime e altre all’avanguardia che minimizzano la termodispersione degli edifici e puntano sul raffrescamento naturale, cosiddetto “passivo””, precisa De Gennaro.

Siamo di fronte alla prima prova su scala planetaria che le temperature più calde della media intaccano il sonno umano. Senza dubbio è una notizia meno spaventosa delle alluvioni al parco di Yellowstone o degli incendi in Siberia, ma non per questo è trascurabile. La sveglia trilla “stop alle emissioni” e il volume aumenta di minuto in minuto: c’è un motivo in più per non continuare a rimandarla.

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