Plastica in mare

Perché le spiagge dello Sri Lanka sono ricoperte di granelli di plastica

Una nave cargo è affondata mesi fa al largo dello Sri Lanka, perdendo in mare tonnellate di detriti che ancora ricoprono le spiagge dell’isola.

  • I litorali sulla costa occidentale dello Sri Lanka sono invasi da granelli di plastica, finiti nell’oceano in seguito al naufragio di una porta-container avvento a maggio 2021.
  • Le operazioni di pulizia procedono a ritmi serrati, ma è difficile rimuovere i granuli che sono finiti sotto la sabbia.
  • Il governo dello stato insulare ha chiesto all’Organizzazione marittima internazionale di prendere provvedimenti.

La X-press pearl ha preso fuoco nel mese di maggio al largo della costa occidentale dello Sri Lanka, nell’oceano Indiano, per poi colare a picco. 1.680 tonnellate di pellet in materiale plastico – granuli utilizzati come materie prime per la realizzazione di altri prodotti finiti – si sono riversati nell’oceano. Una catastrofe ambientale che le Nazioni Unite hanno descritto come “il più grande sversamento di plastica mai avvenuto” e i cui effetti sono tuttora visibili. Le spiagge del paese, una volta dorate e capaci di attrarre orde di turisti, ora sono ricoperte da milioni, se non miliardi, di queste palline, da Mannar a nord fino a Kirinda nel sud.

Migliaia di volontari all’opera per ripulire le spiagge

Ovviamente, le operazioni di pulizia sono cominciate immediatamente. L’Autorità per la protezione dell’ambiente marino (Mepa) ha coinvolto circa 50mila persone nella raccolta dei rifiuti, riempiendo finora qualcosa come 60mila sacchi di varie dimensioni. A Sarakkuwa i volontari sono costituiti principalmente da donne che raccolgono, in media, fra gli ottanta e i cento chili di pellet ogni giorno, ricevendo un compenso di tremila rupie (circa tredici euro) dal governo.

Persino il personale degli hotel è stato coinvolto nel procedimento, perché il turismo è una delle attività economiche più importanti sull’isola. Un altro settore pesantemente coinvolto è quello ittico: i pescatori hanno ricevuto un indennizzo nel periodo in cui non hanno potuto lavorare, ma secondo alcuni bisognerebbe tenere conto anche dei rischi che lavorare in acque contaminate comporta.

Servono regole più severe sul trasporto di materie plastiche

Il problema è che “terminata la pulizia superficiale, restano da rimuovere i granelli di plastica che sono finiti sotto la sabbia, anche a due metri di profondità”, spiega Hemantha Withanage, direttrice del Centro per la giustizia ambientale. Un’operazione complessa per cui servirebbero macchinari costosi che, secondo Withanage, dovrebbero essere acquistati dalla compagnia di navigazione che ha provocato il disastro, soprattutto perché i pellet erano all’interno di sacchetti di polietilene, cosa che ne ha facilitato la dispersione in mare.

Il direttore della compagnia, Shmuel Yoskovitz, si è difeso dicendo che non è loro compito predisporre i container per il trasporto, cosa che viene fatta dalle ditte di spedizione seguendo gli standard dell’Organizzazione marittima internazionale (Imo). I container, inoltre, sono già sigillati al momento dell’arrivo sull’imbarcazione. Yoskovitz ha però aggiunto di essere favorevole all’approvazione di norme più severe sul trasporto di questo tipo di materiali. Anche il governo dello Sri Lanka è dello stesso parere, tanto che ha presentato una richiesta ufficiale all’Imo.

Capita che i nostri piedi siano immersi nei granelli di plastica. Siamo costretti a toccarli ogni giorno. Sono diventati parte della nostra vita ormai.

Veerapalli Shiva, pescatore

L’impatto della plastica è pericoloso quanto quello della crisi climatica, lo ha dichiarato recentemente una nota organizzazione internazionale, l’Environmental investigation agency. Pertanto, è ora di cominciare a considerarla come tale, prendendo provvedimenti concreti che ne prevengano la dispersione nell’ambiente.

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