Dichiarazioni ambientali e greenwashing, l’Unione europea impone regole più severe
Per tutelare i consumatori dal greenwashing, l’Unione europea vuole mettere un freno alle dichiarazioni ambientali generiche o inattendibili.
Si sente parlare sempre più spesso di greenwashing, ma cosa vuol dire? Con questo neologismo inglese, che potrebbe essere tradotto in italiano come “ambientalismo di facciata“, si contraddistinguono quelle pratiche con cui alcune aziende provano a trasmettere ai propri clienti un impegno per la tutela ambientale che però non corrisponde pienamente ai fatti. In altre parole, le aziende fanno greenwashing quando usano l’ecologia e l’ambiente come leva di marketing senza però intervenire realmente sui propri prodotti e processi al fine di renderli più sostenibili. In questo modo, sfruttano la crescente sensibilità da parte dei consumatori solo per aumentare le vendite. Il termine greenwashing nasce negli anni Ottanta ed è riferito inizialmente alle catene alberghiere che invitano gli ospiti a riutilizzare più volte gli asciugamani invece di farli lavare ogni giorno; una richiesta che viene spacciata per ambientalista ma, in realtà, nasce solo dalla volontà di contenere le spese. Oggi il greenwashing si manifesta in molti modi, soprattutto attraverso claim vaghi ed evocativi come “green”, “amico dell’ambiente”, “sostenibile”, “ecologico”, non supportati da dati ed evidenze concrete. Il primo passo per smascherare il greenwashing dunque è quello di andare sempre alla ricerca di prove concrete che possano circostanziare queste affermazioni e dimostrarne la veridicità. C’è anche chi controlla il greenwashing: la stessa Commissione europea si è impegnata su questo fronte, poiché alcune affermazioni possono configurare pratiche commerciali scorrette e quindi sanzionabili. In Italia, l’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria si è dotato di una norma specifica, l’articolo 12 del Codice di autodisciplina. Il tribunale di Gorizia è stato il primo in Italia – e uno dei primi in Europa – a emettere un’ordinanza cautelare, obbligando un’azienda a ritirare una pubblicità ritenuta fuorviante. Il greenwashing spesso può essere inconsapevole. Altre volte è voluto. Su LifeGate spieghiamo cos’è, come affrontarlo e quali sono gli autentici comportamenti green da premiare con i propri acquisti.
Per tutelare i consumatori dal greenwashing, l’Unione europea vuole mettere un freno alle dichiarazioni ambientali generiche o inattendibili.
L’Advertising standards authority (Asa) ha bloccato tre pubblicità di Shell: presentavano in modo fuorviante la transizione energetica dell’azienda.
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Come riconoscere le strategie di greenwashing delle aziende: è questo l’obiettivo del corso tenuto dalla docente universitaria Laura Corazza.
Più di 300 persone in 41 paesi, tutte volontarie, si sono messe all’opera per scrivere una guida sul clima. Si chiama Carbon Almanac ed esce in Italia il 13 luglio. Abbiamo intervistato l’ideatore del progetto, Seth Godin.
Perquisiti gli uffici di Dws (Deutsche Bank): avrebbe presentato come “verdi” e “sostenibili” degli investimenti che non avevano le giuste credenziali.
Sull’etichetta di un abito, come sulle sigarette, dovrebbero esserci degli avvertimenti riguardo al suo impatto ambientale. A che punto siamo?
Upcycling e recycling: conoscere i termini e i processi legati alla moda sostenibile è il primo passo per fare acquisti consapevoli.
Nella corsa verso la sostenibilità, alcune aziende inciampano in dichiarazioni poco trasparenti per convincere i consumatori. Per riconoscere il greenwashing servono domande precise e certificazioni ambientali.
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