Nel 2019 il dizionario inglese Cambridge ha scelto “upcycling” come parola dell’anno. Questo termine, nato ufficialmente nel 2002, non ha un letterale equivalente in italiano e si può tradurre con la perifrasi “utilizzare materiali destinati ad essere gettati per creare nuovi oggetti dal valore maggiore ”. Mentre il riciclo restituisce ad un materiale la sua funzione originaria, l’upcycling “lo valorizza grazie a un design intelligente che lo rende più interessante a livello economico, estetico ed emotivo”,  ha spiegato il designer Max McMurdo nel suo manuale. L’obiettivo dell’upcycling è dunque quello di ridurre gli sprechi e migliorare l’efficienza dell’uso delle risorse.

L’upcycling nel campo della moda, da Stella McCartney a John Galliano, fino a Dolce&Gabbana, è di fatto esploso come fenomeno durante il lockdown del 2020, quando ha preso piede sempre più il riutilizzo e il riadattamento di tessuti o abiti di passate collezioni nelle nuove. Rappresenta, quindi, un’evoluzione del concetto del ‘vintage’, introducendo la trasformazione creativa che non solo prolunga la vita di un abito, ma lo trasforma completamente in qualcosa di nuovo e unico.

Nel campo del design e dell’architettura, l’upcycle diventa una filosofia di progettazione: si parte da un oggetto anonimo e si approda a una struttura che si inserisce nella vita pubblica e privata della città, puntando a sostituire un modello di costruzione tradizionale con uno innovativo, che coniuga sostenibilità ma anche modularità.