Bruce Springsteen – The Promise

Il doppio album The Promise, fulcro del box set dedicato alla riedizione di Darkness On The Edge Of Town, presenta 22 inediti (nella track list finale è comparsa a sorpresa anche la ballad The Way amatissima dai fan, hidden track in coda a City Of Night, al termine del secondo disco), scelti dagli “scarti” di

Il doppio album The Promise, fulcro del box set dedicato alla
riedizione di Darkness On The Edge Of Town, presenta 22 inediti
(nella track list finale è comparsa a sorpresa anche la
ballad The Way amatissima dai fan, hidden track in coda a City Of
Night, al termine del secondo disco), scelti dagli “scarti” di
registrazione del disco uscito nel 1978.

“Scarti”, fra doppie, oserei dire triple virgolette: le outtake del
periodo Darkness, grazie alla pletora di bootleg che ne
testimoniavano l’esistenza, sono sin dai tempi della loro scoperta
il vero tesoro inesplorato dalla discografia ufficiale di Bruce
Springsteen. A onore del vero il progetto articolato – come si
conviene ai campioni del marketing della Columbia – doppio cd/lp
nella sua versione minimal, voluttuoso box set con Darkness
rimasterizzato, più 3 dvd (c’è anche l’edizione
Blu-Ray) e cimeli iconografici dal forte valore evocativo come il
facsimile del notebook con gli appunti e le liriche del Boss, non
è catalogabile sotto una riduttiva etichetta “ristampa”.

A ricordacelo in un teaser di presentazione è Bruce in
persona che racconta di come una “semplice” raccolta di outtake nel
corso della ricerca sulle «tonnellate di materiale»
abbia assunto i connotati di un disco a se stante che riunisce e
attualizza i singoli pezzi, scelti in quel mare magnum di oltre 70
canzoni composte e registrate nel triennio 1976-78. Le lost
sessions sono il frutto di quell’ispirazione incessante, ai limiti
della paranoia creativa dell’autore sulle soglie della vita adulta,
fra battaglie legali con l’ex manager e un forte desiderio di
comporre rock essenziale e schietto, dopo l’ubriacatura spectoriana
di Born To Run. Non a caso la “nuova” musica che passa in rassegna
il doppio album è prepotentemente guidata dalla dedizione
del Boss e dei suoi sodali (primo fra tutti Little Steven,
collaboratore nello stesso periodo di Southside Johnny & The
Asbury Jukes) all’estetica di certi particolari generi, conditi in
salsa pop. Soul, garage, rockabilly, rhythm & blues la fanno da
padroni divisi più o meno equamente in ballate romantiche
(One Way Street, The Brokenhearted, Spanish Eyes, Breakaway, la
Factory ante litteram intitolata Come On) e pezzi up tempo (lo
shuffle anni 50 Outside Looking In, la tensione fra chitarre e
piano di Wrong Side Of The Street, il singolo estratto Save My
Love, il movimento brillante e irresistibile di Ain’t Good Enough
For You, il rock-blues spartano di It’s A Shame).

Le delicate Candy’s Boy e i sussurri notturni di City Of Night
svelano il lato B della “pop side” che spicca invece il volo con
Gotta Get That Feeling, The Little Things (My Baby Does) e con la
corale Someday (We’ll Be Together) sorretta da impasti vocali
mixati ad hoc per l’occasione, che sanno di Working On A Dream. Tre
canzoni brillano di luce propria: Racing In The Street (’78) che
parte quasi alla maniera di Thunder Road per poi infrangersi nel
fragore elettrico di una Promised Land rallentata; Talk To Me,
sorella appassionata della versione di John “Southside” Lyon; The
Way, ballata scura e nostalgica come un giubbotto di pelle nella
notte. Ma c’è ancora tempo per calare il poker d’assi:
l’energia di Rendezvous è un colpo al cuore; Fire incede
perfetta con il fantasma di Elvis sul collo; Because The Night
è in una parola sola, e banalmente, immensa. E poi
c’è The Promise, la stella polare della track list,
struggente ballata orchestrale dedicata ai sogni infranti.

Il risultato musicale, frastagliato e ammaliante, s’incastra a
meraviglia fra le atmosfere di Born To Run e Darkess On The Edge Of
Town, mostrando senza veli un debito di riconoscenza ai canovacci
sopraccitati e ai dischi di Buddy Holly, Beatles, Elvis e,
più in generale, al pop. Tutti questi canoni rivisitati
dalla straordinaria vocalità espressiva Bruce e
dall’impianto sonoro compatto di una E Street Band fresca,
ruggente, ai vertici della sua identità più
“classica”, sono la cifra del session perdute che fanno ancora
più comprendere i perché del Darkness ufficiale e la
sua statuaria ragion d’essere che si erge, a distanza di 32 anni,
di una mezza spanna sopra queste 22 canzoni che hanno l’unico
limite nella relativa omogeneità produttiva.

Per ragioni di fruibilità commerciale, infatti, si è
reso necessario il restauro di parti lacunose o inefficaci,
compiuto mirabilmente dal tecnico del suono Chuck Plotkin,
impegnato in un complesso lavoro di equalizzazione al fine di
garantire il giusto risalto delle parti vocali. Per fare
ciò, sono stati effettuati anche alcuni interventi ex novo
con le Alliance Singers ai cori insieme a Patti Scialfa e Soozie
Tyrell in Someday (We’ll Be Together) e Breakaway. Da rilevare
nelle parti strumentali un mix di inserti originali e recenti ad
opera dei componenti passati e attuali dei Miami Horns, già
gregari dell’entourage di Springsteen e la presenza di David
Lindley (sodale di Jackson Browne) alle parti di violino in Come On
(Let’s Go Tonight) e Racing In The Street (’78).

Lorenzo Barbieri

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