Serena Giacomin, meteorologa, climatologa e presidente di Italian climate network, spiega le potenzialità e i limiti della meteorologia.
“Tutti conoscono le previsioni del tempo, ma pochi conoscono le previsioni della foresta”. A parlare è Marco Mina, ricercatore in Ecologia e gestione forestale all’istituto Eurac research di Bolzano. Spiega così, con questa bella immagine, il suo lavoro nell’ambito di Reinforce, un progetto che ha l’obiettivo di capire e valutare come si svilupperanno le foreste in un futuro caratterizzato dal cambiamento climatico. Il nostro Ioniq 5 climate tour inizia con lui, il primo di tre esperti che abbiamo incontrato per farci raccontare uno dei luoghi presto tra i più resilienti del nostro Paese: i boschi del Trentino-Alto Adige, colpiti violentemente tre anni fa da tempesta Vaia.
Oltre a Mina, ci hanno aiutato a capire le conseguenze di Vaia e come potranno rinascere questi boschi anche Paolo Kovatsch, Responsabile gestione tecnica delle foreste demaniali della provincia autonoma di Trento, e Günther Unterthiner, direttore della Ripartizione foreste della provincia autonoma di Bolzano, che abbiamo raggiunto al telefono.
Tempesta Vaia: milioni di alberi abbattuti in pochi minuti
L’evento climatico estremo che si è abbattuto sul nord-est il 29 ottobre 2018 è nella memoria di tutti noi. I venti di scirocco che soffiavano fino a 200 km all’ora hanno colpito ben quattro regioni: oltre al Trentino-Alto Adige, hanno subito danni anche il Friuli-Venezia Giulia, il Veneto e parte della Lombardia. È andato distrutto un enorme patrimonio forestale, composto principalmente da abeti rossi, gli stessi scelti da Stradivari per costruire i suoi violini e poi narrati nei romanzi di Mario Rigoni Stern.
Le stime parlano di quasi 43mila ettari di boschi schiantati, per un totale di poco più di 14 milioni di alberi. In Trentino, tra le zone maggiormente interessate c’è Paneveggio, mentre in Alto Adige è la Val d’Ega, sopra il lago di Carezza. “Si tratta della zona più colpita dal punto di vista delle superfici ed è anche la zona dove troviamo le foreste più produttive, paragonabile alla foresta della Val di Fiemme in Trentino. Qui sono stati esboscati circa 900mila dei circa un milione e 600mila metri cubi di legname colpiti da Vaia nella provincia”, spiega Marco Mina, che precisa come l’abete rosso sia stata l’unica specie fortemente promossa in passato in tutta l’area per le sue qualità produttive. Ma un bosco in cui vive una specie sola è più soggetto a pericoli, è meno resiliente e meno resistente agli schianti, siano essi da vento o da neve.
Non solo Vaia
E infatti, dopo la tempesta del 2018, che ha avuto un impatto emotivo oltre che fisico sul paesaggio di queste province, il clima non è stato di certo clemente con questi boschi. “Vaia è stato un evento particolare, ma gli schianti qui erano concentrati. Quindi è stato possibile lavorare quasi tutto il legname in tempi ristretti. Purtroppo, nel 2019 e nel 2020 abbiamo avuto altri eventi straordinari, non schianti da vento, ma da neve, con un milione e 500mila metri cubi di legname andati perduti” spiega Unterthiner. Questi eventi successivi, diffusi e non concentrati come Vaia, hanno reso molto più difficile liberare le strade dal legname e hanno reso gli alberi vulnerabili agli attacchi del bostrico, un insetto che colpisce prima le piante indebolite e poi, quando la popolazione è in fase di espansione, tocca anche piante sane.
Visibilità e consapevolezza, grazie a Vaia
“Eventi di disturbo di questo genere sono molto scioccanti, ma danno anche un’occasione unica per ricostruire foreste più resilienti” ha ricordato Marco Mina. In tutto questo, infatti, Vaia non ha rappresentato solo un evento traumatico, uno shock emotivo, oltre che ambientale ed economico. È stata anche una grandissima opportunità. “Dopo l’evento che ha danneggiato in maniera pesante i boschi, uno degli effetti positivi – se così vogliamo dire – della tempesta è stata la grande sensibilizzazione presso la gente, resa possibile grazie al lavoro dei media” ricorda Paolo Kovatsch. Una visibilità che ha reso le persone consapevoli del pericolo che i cambiamenti climatici costituiscono per i boschi, specialmente per quelli ad alta vocazione produttiva.
Ma come rendere la foresta più forte, più resiliente? “Abbiamo bisogno di boschi misti,” avverte Unterthiner. Anche se in queste aree continuerà ad essere l’abete rosso la specie principale. “Dobbiamo garantire la mescolanza, per esempio col larice, per aumentare la stabilità dei popolamenti. E fare in modo che la selvaggina non distrugga le nuove piante”. A questo proposito, in Trentino sono già stati costruiti dei recinti di protezione, per evitare che gli ungulati – come caprioli e cervi – se ne servano come cibo, rendendo vani gli sforzi.
I progetti resilienti
I progetti per migliorare la resilienza della foresta sono già in atto. In Alto Adige abbiamo già ricordato il progetto Reinforce. La modellistica forestale ci può aiutare a capire con quali tempistiche si riprenderà il bosco dopo un evento traumatico come Vaia e come costruire foreste più resilienti. Mentre in Trentino uno dei progetti principali è il Trentino tree agreement, ovvero un accordo che consente a persone e aziende di contribuire alla ricostruzione della foresta attraverso donazioni piccole e grandi.
Infine, tra i progetti privati che puntano a mantenere costante l’azione di sensibilizzazione e migliorare la resilienza, uno per tutti è Vaia – sì, come la tempesta. Si tratta dell’iniziativa di una start up che realizza prodotti finiti come i Vaia cube, amplificatori in legno costruiti recuperando il legno schiantato. Un’impresa sostenibile che tra l’altro contribuirà alla ripiantumazione delle foreste.
I boschi del Trentino-Alto Adige sono solo uno degli esempi di come grandi aree naturali piegate da eventi climatici devastanti abbiano saputo rialzarsi e reinventarsi, per far fronte agli effetti del riscaldamento globale. Ma le storie di resilienza, nel nostro Paese, sono tantissime. E noi, con lo Ioniq 5 climate tour continueremo a raccontarvele, tappa dopo tappa.