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Il dramma dei rohingya, il popolo fantasma è sempre più alla deriva

Il dramma delle persone costrette o spinte ad abbandonare la loro terra per sopravvivere, per avere un futuro e sperare in una vita migliore non riguarda solo il mar Mediterraneo. Dall’altra parte del mondo, esiste un popolo che si chiama rohingya, ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite come il più perseguitato e rifiutato al mondo. I

Il dramma delle persone costrette o spinte ad abbandonare la loro terra per sopravvivere, per avere un futuro e sperare in una vita migliore non riguarda solo il mar Mediterraneo. Dall’altra parte del mondo, esiste un popolo che si chiama rohingya, ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite come il più perseguitato e rifiutato al mondo. I rohingya vivono nello stato del Rakhine, in Birmania (Myanmar), ma qui nessuno li vuole. Non vengono riconosciuti dalla giunta militare al potere e vengono malvisti, per non dire perseguitati, dal resto della popolazione locale, a maggioranza buddista.

 

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Il viaggio della speranza nelle acque del Bengala

Una condizione che spinge migliaia di persone appartenenti a questa etnia a buttarsi su barconi fatiscenti, guidati da trafficanti di esseri umani per abbandonare la Birmania e raggiungere le coste della Thailandia, della Malesia, dell’Indonesia. Secondo l’organizzazione non governativa Arkan Project (Arkan è il nome tradizionale delle terre dove vivono i rohingya) sarebbero ottomila le persone alla deriva nelle acque del golfo del Bengala o del mare delle Andamane. Le autorità della Malesia hanno denunciato l’arrivo di 1.018 migranti, sia rohingya che bengalesi, negli ultimi giorni, mentre altri mille sarebbero sbarcati tra domenica e lunedì sulle coste settentrionali dell’isola di Sumatra, in Indonesia.

Numeri che ricordano il Mediterraneo

Queste fotografie, realizzate da Ulet Ifansasti il 12 maggio, mostrano il dramma dei rohingya dall’interno. Sono state scattate a Lhoksukon, nella provincia indonesiana di Aceh, dopo lo sbarco di 500 rohingya, molti dei quali bisognosi di cure. Sono stati loro ad avvisare le autorità del fatto che sono ancora migliaia le persone in alto mare. A differenza di ciò che accade nel Mediterraneo, qui i governi si rimpallano le responsabilità e non sono pochi i casi di barconi respinti e costretti a riprendere il viaggio per raggiungere coste meno controllate. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifiugiati (Unhcr) ha fatto sapere che nei primi quattro mesi del 2015 si sono imbarcati circa 25mila migranti dalle coste del Bangladesh e della Birmania, circa il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Cifre molto simili agli sbarchi che si registrano sulle coste europee che si affacciano sul Mediterraneo.

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