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Il Libano sta vivendo una forte crisi economica e sanitaria, quindi ambientale

Il Libano è in ginocchio dopo il crollo della lira libanese e la crisi economica si sta trasformando anche in un’emergenza sanitaria e ambientale.

La peggiore crisi degli ultimi trent’anni. Così viene definito il momento storico che sta attraversando il Libano, un’emergenza economica, sociale e quindi ambientale che sta creando una spirale di disoccupazione, povertà, suicidi e inquinamento. Da mesi, anche in tempi di Covid-19, in migliaia di persone scendono in piazza per farsi sentire. La popolazione locale ha le idee ben chiare su chi sia il colpevole della tragedia in corso: una classe politica corrotta e incapace di rinnovarsi.

Le origini della crisi in Libano

I problemi sono iniziati nell’autunno scorso, quando l’annuncio del governo di una tassa sulle chiamate Whatsapp, oltre che misure simili su tabacco e benzina, hanno fatto esplodere le rivolte nel paese. In realtà si trattava solo di un pretesto, o della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Le difficoltà economiche del Libano si sono acuite negli ultimi anni, con un debito pubblico che nel 2019 era pari al 150 per cento del prodotto interno lordo (pil) e un salario medio inferiore ai 300 euro. Il fatto che dai palazzi del potere si volesse scaricare ancora una volta il costo della crisi sulla gente, tassando persino una telefonata online, è suonata come una beffa.

Il premier Saad Hariri si è dimesso a seguito delle proteste, facendo cadere il governo e rifiutando l’incarico a formarne un altro perché non voleva essere identificato come il simbolo di una politica che non sa ascoltare la gente. Eppure, in un paese dove l’elettricità salta di continuo, non c’è lavoro, la povertà è dilagante e la sicurezza alimentare è un miraggio, il premier e la restante classe politica fanno parte di quell’1 per cento che detiene un quarto di tutta la ricchezza libanese.

Il nuovo governo insediatosi a gennaio e guidato da Hassan Diab, ex ministro dell’Istruzione, non ha migliorato la situazione economica, così come non è stato in grado di spegnere la rabbia popolare contro una vecchia politica che continua a non rinnovarsi.

La classe politica è in effetti la stessa da ormai trentanni, quando per chiudere un lungo periodo di sferzante guerra civile le varie fazioni in lotta si spartirono il potere. Nel corso dei decenni nulla è cambiato e nei palazzi continuano a dominare settarismo e clientelismo, mentre il paese si trasforma e nuove difficoltà incombono. La totale sconnessione tra un’élite politica attaccata alle poltrone e corrotta e un popolo che fatica a sopravvivere economicamente e socialmente è la vera polveriera libanese. La tassa su Whatsapp, annunciata e poi ritirata, è stata solo una miccia.

Cosa succede oggi

Dopo che a marzo il Libano ha dichiarato fallimento (default), oggi l’emergenza vera è quella valutaria. La lira libanese si è drasticamente deprezzata rispetto al dollaro, un problema per un paese dove la moneta americana è usata nella quotidianità tra turismo, rimesse dei libanesi all’estero e scambi commerciali.

Oggi i dollari nel sistema sono sempre meno, di fatto si trovano solo sul mercato nero, dove sono scambiati fino a 9.500 lire libanesi mentre il tasso di cambio ufficiale è di 1.500. Questo sta contribuendo a trasformare la lira libanese in carta straccia, con una perdita dell’80 per cento del suo valore in un anno. Ogni aiuto da parte delle istituzioni come il Fondo monetario internazionale è osteggiato da Hezbollah, partner di governo.

In questa situazione, il paese fa fatica a importare diversi prodotti alimentari come il grano e la carne, ma anche altri beni di prima necessità, con la conseguenza che nel peggiore dei casi gli scaffali sono vuoti, nel migliore pieni ma con prezzi altissimi. Il 60 per cento dei macellai nel paese intanto ha chiuso. Tra settembre 2019 e maggio 2020, il World food programme ha registrato un aumento del 56 per cento del prezzo del paniere di otto prodotti alimentari di base, mentre l’assistenza alimentare alle famiglie degenti si è impennata negli ultimi mesi, dal momento che le persone non riescono più a fare acquisti.

In un paese già socialmente precario, si prevede che entro la fine dell’anno il 60 per cento dei libanesi vivrà sotto la soglia di povertà, mentre a oggi il tasso di disoccupazione della popolazione attiva è già salito al 33 per cento, contro l’11 per cento del 2019. Molte famiglie della ormai ex classe media stanno lasciando in strada le proprie colf migranti, perché non più in grado di retribuirle. E in questo scenario cresce il tasso di suicidi, sintomo di una disperazione generale in un paese completamente alla deriva.

Intanto aumentano le interruzioni di energia elettrica, con alcune aree di Beirut dove non è raro arrivare a 16 ore di buio, due terzi della giornata. I problemi valutari fanno sì che vi sia carenza di carburante con cui alimentare i generatori. Il governo risponde con l’aumento dei prezzi, così che i cittadini già martoriati dalla crisi economica si ritrovano a pagare di più per un servizio, quello energetico, di cui non beneficiano. La mafia dei generatori, quella che riempie i buchi lasciati dalla società nazionale elettrica, ringrazia, mentre gira voce che presto anche internet potrebbe collassare.

Un’emergenza sanitaria e ambientale

L’emergenza si sta facendo sentire non solo sulle finanze delle famiglie libanesi, ma anche su altri aspetti della quotidianità del paese. In uno degli ospedali più grandi della capitale, il Rafiq Hariri University Hospital, sono stati spenti gli impianti di aria condizionata nei corridoi e negli uffici amministrativi, mentre diverse sale operatorie sono state chiuse e gli interventi di chirurgia rinviati.

Questo perché il carburante per far funzionare i generatori scarseggia e, di fronte alle continue interruzioni di elettricità, l’ospedale deve garantire quanto meno il funzionamento dei reparti di terapia intensiva, dove a oggi è stato curato il 90 per cento dei circa duemila casi di Covid-19 nel paese. Questo, a discapito degli altri reparti.

Un medico delle unità di Hezbollah impegnato contro il Covid-19
Un medico delle unità di Hezbollah impegnato contro il Covid-19 © Daniel Carde/Getty Images

Anche a livello ambientale la situazione appare critica. Come hanno sottolineato la Waste management coalition e Human rights watch, il paese non è più in grado di gestire i suoi rifiuti, un po’ come era stato nel 2015 quando in migliaia scesero in piazza per questo motivo. Oggi le principali discariche del paese hanno raggiunto la loro massima capacità e il contesto di crisi fa sì che dal governo non si stia facendo nulla per gestire la situazione, mentre la spazzatura si accumula nelle città e sulle spiagge libanesi.

Diversi studi hanno mostrato come l’assenza di un piano sostenibile di gestione dei rifiuti abbia un costo notevole per il paese: 154,5 dollari per trattare ogni tonnellata di rifiuti solidi, contro valori inferiori a 22 dollari degli altri paesi dell’area. Un ennesimo spreco di denaro pubblico, mentre oggi si chiedono nuove tasse ai cittadini per rimediare agli errori del passato.

Questo, in un paese che non a caso è già tra i più inquinati del mondo. Secondo un rapporto di Greenpeace, il numero stimato di morti in Libano attribuibili ai combustibili fossili era di 2.700 nel 2018, un tasso di quattro morti ogni 10mila persone e il peggiore del Medio Oriente. Da anni si chiede una riconversione del paese verso un’energia più pulita, una politica serrata contro le centinaia di discariche abusive, un’attenzione insomma a quello che è uno dei problemi maggiori del paese, la tutela ambientale. La profonda depressione di questi mesi e l’incapacità delle istituzioni a farne fronte rischiano invece di peggiorare ulteriormente questa situazione.

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