Louie Psihoyos. I film sono la nuova arma per cambiare il mondo

Dopo The Cove, premio Oscar come miglior documentario, ora il regista e fotografo americano Louie Psihoyos vuole innescare, con Racing Extinction, un movimento globale. Intervista esclusiva alla Camera dei Deputati, tappa di Roma di un tour mondiale basato su immagini mozzafiato, social media, azione ed emozione.

Da The Cove a Racing Extinction

Telecamere nascoste, equipaggiamenti da investigatori, poesia degli oceani, crudeltà degli uomini, proiettori giganti. Così il regista Louie Psihoyos porta le sue tattiche hi tech dagli schermi alle strade, dalle acque azzurre dove nuotano le mante agli schifosi corridoi degli stabilimenti cinesi. Per fortuna, però, non sceglie immagini raccapriccianti, le sceglie affascinanti.

Racing Extinction è più di un film, è un movimento, una sveglia collettiva.

Il regista premio Oscar per The Cove, il documentario che ha svelato la mattanza di delfini a Taji in Giappone con telecamere nascoste nella roccia e microspie in stanze di hotel, sta ora lavorando per promuovere un nuovo movimento per la difesa delle specie in via di estinzione, a partire dal suo nuovo docufilm.

In Italia la tappa della sua campagna globale è stata alla Camera dei Deputati, a Roma, ospite del deputato (vegano) Paolo Bernini, che ha organizzato addirittura la proiezione del film nell’Aula Gruppi. Una cornice istituzionale inusuale e interessantissima per il regista e fotografo americano, che è anche presidente della Oceanic Preservation Society, e che ha concesso un’intervista esclusiva a LifeGate in cui racconta alcuni retroscena, dalle origini del suo impegno alle spettacolari videoproiezioni sull’Empire State Building e San Pietro.

Lei nasce come fotografo, della scuola dei fotografi impegnati, che cioè usano la loro professione per documentare ciò che non va, per incoraggiare il cambiamento. In effetti, la fotografia è ben capace di promuovere una presa di coscienza: la bambina denudata dal napalm di Nick Ut, il mare rosso sangue di Adam Woolfitt, il bimbo accartocciato dalla fame di Kevin Carter… Quando si è accorto che con le foto poteva davvero innescare cambiamenti nella vita reale?
Già a partire dal primo servizio che proposi per il National Geographic, nel 1981, sulla spazzatura. C’era, all’epoca, solo un impianto per la raccolta differenziata in tutta l’America. Divenne una storia di copertina e si accese un dibattito in tutta la nazione, che coinvolse anche i politici. Un’altra volta, ho documentato nel 1993 la rivoluzione in arrivo nell’era dell’informazione: ho messo a confronto nella stessa immagine un’enorme pila di giornali con il pezzetto di silicio capace di contenere le medesime informazioni e col cavo che le avrebbe potute trasmettere istantaneamente. La fotografia, sì, è un mezzo potente. Ma, secondo me, la nuova “arma” è il film. È capace di attrarre ancora di più l’attenzione della gente.

Infatti, dopo The Cove, il suo primo film, ora c’è Racing Extinction. Quali sentimenti si attende di generare negli spettatori? Amore per il pianeta, rabbia e indignazione, oppure speranza e desiderio d’agire, di fare qualcosa?
Be’, siamo in un’era che è stata chiamata ‘antropocene’, la prima in cui l’umanità sta realmente trasformando il pianeta. Non è facile parlarne in un film, perché le persone tendono a rifuggire da informazioni come queste. Quindi, direi innanzitutto consapevolezza, coscienza. Poi, ispirazione. Per dare a tutti la forza di agire, di fare qualcosa. Se le persone sono informate potranno sia agire in prima persona, sia dare mandato ai politici di agire ancora più incisivamente. Tutto nasce dalle persone, quindi il mio scopo è dare loro informazione, ispirazione, voglia d’agire, forza per farlo.

Mentre The Cove è stato un exploit, qui lei ha potuto contare su un’organizzazione capace di mostrare questo film in tutto il mondo.
Sì, con i canali Discovery abbiamo compiuto un’impresa unica, il film è stato trasmesso in 220 Paesi e territori contemporaneamente, ed era il periodo della Cop 21 a Parigi. Questo sta generando un’assunzione globale di consapevolezza. E in questo percorso si situa benissimo un’iniziativa come quella di oggi, qui a Roma, alla presenza dei politici che si faranno carico di questo messaggio.

In un’intervista a The Guardian, a proposito di The Cove,  lei ha detto: “Sapevamo che il film era ben fatto, ma non sapevamo assolutamente quante persone ci avrebbero dato ragione”. Ok, dopo quel film, la mattanza di delfini s’è ridotta clamorosamente, tra le proteste internazionali. Ora, presumo che di fronte al messaggio “fermiamo l’estinzione delle specie”, voi siate consci che non c’è nessuno che non possa ritenersi d’accordo. Ma è sufficiente per smuovere la volontà d’agire, o c’è il rischio che sia un consenso vano, vuoto, inane?
Le cose cambiano molto velocemente e, spesso, sorprendentemente. Se oggi diciamo a uno studente universitario che una volta sugli aerei c’erano aree fumatori, rischia di non crederci, perché sembra pazzesco oggi che non si può più fumare nemmeno in bar e ristoranti. E sono passati solo vent’anni. Nel momento in cui avviene una presa di coscienza collettiva, il cambiamento può essere travolgente.

Grazie ai social media possiamo innescare cambiamenti a una velocità ancora maggiore, forse esponenziale, vero?
Assolutamente. Shawn Heinrichs e WildAid sono stati fenomenali con una campagna contro la strage di squali in Asia, in cui il campione Nba Yao Ming rifiuta una zuppa di pinne di squalo, vedendo un animale mutilato in agonia. Ma, wow, ci sono un gazillione di esempi di successo! Speriamo di poter fare qualcosa di simile anche in difesa delle mante, splendidi, maestosi animali oggi cacciati in Indonesia non per la carne, acre e immangiabile, ma solo per usarne le branchie nella superstiziosa medicina tradizionale.

Cambiamenti reali, nel mondo, dopo Racing Extinction, stanno dunque avvenendo?
Sì, qualcosa si muove già. C’erano sette stabilimenti che producevano olio di squalo illegale, in Cina. Sei sono stati chiusi. Abbiamo raccolto 250mila dollari per riconvertire le barche dei pescatori indonesiani di mante in barche turistiche, e le cabine di pesca in bed&breakfast, e ora anche il governo sta dando loro sussidi per la riconversione. Abbiamo supportato una petizione per far cessare il trasporto internazionale di pinne di squalo che ha raccolto 178.000 firme in due settimane e l’Ups l’ha accolta immediatamente. Sta succedendo tutto più velocemente di quel che potessimo pensare, perché abbiamo il potere di connettere milioni di persone istantaneamente.

Louie Psihoyos e Travis Threlkel hanno proiettato immagini digitali di specie in pericolo sull'Empire State Building il 15 agosto 2015, nel progetto 'Projecting Change'.
Louie Psihoyos e Travis Threlkel hanno proiettato immagini digitali di specie in pericolo sull’Empire State Building il 15 agosto 2015, nel progetto ‘Projecting Change’.

La propagazione spontanea dei concetti si accompagna alla potenza della magnificenza. Siete riusciti, con ‘Projecting Change’, a proiettare immagini giganti degli animali in via d’estinzione sul palazzo di vetro dell’Onu, sull’Empire State Building, perfino su San Pietro all’inizio del Giubileo!
Vero, è da anni che sognavo di farlo. Non solo perché l’Empire State Building è uno dei più iconici edifici al mondo, ma anche per evidenziare la sua ristrutturazione ecologica operata da Tony Malkin. Le riprese del film erano finite, era agosto, i produttori dicevano che i giornali non l’avrebbero ripreso. Ebbene, siamo stati la top trending story su Twitter e Facebook per quattro giorni di fila, con 939 milioni di visualizzazioni sui media di tutto il mondo. Quando qualcuno mi dice “non si può fare”, mi fa l’irresistibile effetto dell’erba gatta su un gatto. E cambiare il mondo, ora, è la mia erba gatta.

Cito sue parole: “Morso dopo morso, possiamo fare la nostra parte per ridurre i cambiamenti climatici e allontanarci dall’orlo del baratro”. Cosa significa, perché ha usato l’immagine del morso?
Perché attraverso l’alimentazione ognuno di noi compie scelte decisive per il futuro del mondo. Molti possono forse sentirsi impotenti, in famiglia, a scuola, ma se invece realizzano che possono davvero contribuire a salvare il pianeta adottando uno stile di vita più verde, mangiando più vegetali, risparmiando i 10.400 animali che mediamente un uomo mangia nella vita… Un’enorme massa di dolore e sofferenza in meno, per se stessi, per gli animali, l’ambiente, con un effetto che si estende anche alle future generazioni.

Come è diventato vegano?
Ho smesso di mangiare carne nel 1986 quando sono andato in un macello in Oklahoma. Stavo facendo un servizio per Fortune, ma non sulla crudeltà negli allevamenti, bensì sulla gestione dei ranch indipendenti in America. Tra gli animali colpiti alla testa, ne ho visto uno appeso, a cui hanno strappato tutta la pelle… mentre era ancora vivo! Stando lì otto ore al giorno, tra addetti che infliggono torture del genere senza pensarci, mi sono detto “non posso esser parte di cose come questa”.
Sul pesce, è diverso. Proprio mentre lavoravo a The Cove, mi è stato diagnosticato un avvelenamento da mercurio: mangiavo troppo pesce. Nel 2010 sono diventato vegano.

E, come al solito con lei, un’ispirazione diviene lavoro. È vero che il suo prossimo film sarà sullo sport e la nutrizione, cioè sugli atleti vegani?
Sì! Cercheremo di smontare il falso mito per cui servono le proteine animali per essere veri uomini.

In effetti, uno dei più forti uomini al mondo è vegano (il tedesco Patrik Baboumian, che ha portato 550 chili per 10 metri ruggendo “potere vegano”).
E non solo. Sono vegani l’ultramaratoneta Scott Jurek che ha stabilito il record del Sentiero degli Appalachi, il nove volte campione del mondo di braccio di ferro Rob Bigwood, la medaglia d’oro olimpica di slittino Alexey Voyevoda… Ci stiamo lavorando. Produttore esecutivo ne sarà il grande regista James Cameron. Anch’egli vegano!

(grazie a: Ilaria Ferri, Maria Chiara Laurenti)

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