Ripresa economica e sostenibilità dipendono dalle donne

Un Pil più alto, maggiore efficienza aziendale, più servizi a bambini e anziani, maggiore sviluppo di un’economia verde, rispettosa del pianeta e delle persone: è quello che accadrebbe se più donne nel nostro Paese occupassero ruoli chiave del mercato del lavoro, in particolare nei settori legati alla green economy. Non solo: una maggiore presenza delle

Un Pil più alto, maggiore efficienza aziendale, più servizi a bambini e anziani, maggiore sviluppo di un’economia verde, rispettosa del pianeta e delle persone: è quello che accadrebbe se più donne nel nostro Paese occupassero ruoli chiave del mercato del lavoro, in particolare nei settori legati alla green economy. Non solo: una maggiore presenza delle donne in ruoli strategici delle aziende sarebbe, in pratica, la chiave per uscire dalla crisi.

 

Se ne è discusso il 24 giugno a Roma durante il convegno organizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, dal titolo “Donne e green economy. La social innovation per cambiare la città”, in cui sono stati presentati diversi dati.

 

Secondo la prima edizione dell’Environmental and Gender Intex dell’Unione per la conservazione della natura, pubblicato nel 2013, nei sedici paesi Ocse l’Italia è ultima per coinvolgimento delle donne nel settore ambientale. Mentre per il Global Gender Gap Report del 2012 del World Economic Forum, che analizza il divario di genere a livello internazionale, occupiamo la posizione numero 80 su tutti i Paesi del mondo.

 

Eppure, altri numeri citati durante il convegno parlano altrettanto chiaramente: è proprio l’Ocse ad affermare che se il numero delle donne occupate equiparasse quello degli uomini, in Pil europeo aumenterebbe fino al 13 per cento e fino al 20 per cento solo in Italia.

 

Nel nostro Paese le lavoratrici sono solo il 49 per cento, assai meno della media comunitaria del 62,4 . Però, se la raggiungessimo (o meglio, se arrivassimo al 60 per cento di donne occupate), secondo la Banca d’Italia il nostro Pil aumenterebbe immediatamente del 7 per cento.

 

E sarebbe un Pil fatto da beni e servizi per la pesona, visto che in Italia, secondo il Censis, le donne sono responsabili del 66,5 per cento degli acquisti e delle scelte della famiglia e rappresentano l’80 per cento del comparto dell’istruzione. Questo significa che scommettere sulle donne, attualmente, vorrebbe dire da un lato cambiare direzione agli investimenti e all’economia, dall’altro educare generazioni di giovani sempre più attenti e consapevoli.

 

Il perché di questa affermazione è giustificato da una ricerca statunitense dell’Università di Berkley, che ha analizzato per 20 anni 1.500 aziende in base al parametro Esg (environment, social, governance, ossia attenzione all’ambiente, attenzione per il sociale e linee guida d’impresa) e studiato la presenza delle donne nei ruoli manageriali: è emerso che nelle aziende in cui le donne ricoprono ruoli di spicco si hanno migliori performance, più efficienza, scelte orientate alla sostenibilità e, addirittura, una drastica riduzione di corruzione e tangenti.

Tutti motivi per non restare indietro e puntare sul valore aggiunto femminile.

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