Troppe generalizzazioni, troppo spazio a guerre e povertà, poco ad ambiente e cultura e alle voci vere: lo dice il rapporto di Amref e Osservatorio Pavia.
Il rapporto L’Africa Mediata di Amref e Osservatorio di Pavia registra una involuzione nella quantità e qualità di notizie sull’Africa sui media italiani nel 2024
Prevale una narrazione schiacciata su povertà, immigrazione, criminalità, e che offre poco spazio alla prospettiva locale.
Ci sono anche esempi positivi, basati sul racconto della cultura, della biodiversità, della cooperazione.
Dice il giornalista britannico di origine nigeriana Dipo Faloyin, nel suo libro L’Africa non è un paese, che “a volte capita di sentir dire ‘è scoppiata una guerra in Africa’ oppure ‘mi piace la cucina africana'”. E che “pensando all’Africa, nelle menti di molti europei affiorano solo immagini stereotipate perché per molto tempo ‘Africa’ è stato sinonimo di povertà, conflitto, corruzione, guerre civili, e distese di arida terra rossa. Ma l’Africa è molto altro, non è una cosa sola, e soprattutto non è un Paese”.
Ed evidentemente questo è valido non solo nei paesi anglosassoni, ma anche da noi: nei mezzi d’informazione italiani, per esempio, l’Africa continua a esistere, ma quasi mai nella sua complessità e ancor meno come protagonista. È evocata, anche qui, per lo più attraverso toni cupi, ridotta a scenario di emergenze, disordini, migrazioni e minacce. A confermarlo, dati alla mano, è la sesta edizione del rapporto L’Africa Mediata, a cura di Amref Health Africa-Italia e dell’Osservatorio di Pavia, presentato a Roma in occasione degli Africa Days. Il quadro che emerge è chiaro: un racconto mediatico povero, ripetitivo, spesso squilibrato. Eppure, a sorpresa, affiorano anche segnali di cambiamento, di cui Faloyin sarebbe contento, e una domanda forte da parte dell’opinione pubblica: raccontare un’altra Africa è non solo possibile, ma necessario.
Africa “qui” e Africa “là”: la narrazione che separa
Prima le brutte notizie. Nel 2024 le notizie a tema africano sulle prime pagine dei quotidiani italiani sono crollate del 50 per cento rispetto all’anno precedente. E tra le poche pubblicate, ben il 77,3 per cento riguarda l’Africa in Italia: cioè persone africane o afrodiscendenti nel contesto italiano o europeo, in genere legate a flussi migratori, cronaca nera o grandi eventi (come le Olimpiadi o il caso della pugile algerina Khelif). Solo il 22,7 per cento racconta l’Africa là, ovvero fatti realmente ambientati nel continente, dove a dominare è sempre il binomio “guerra e terrorismo”. La fotografia è confermata anche nei notiziari di prima serata: mentre l’attenzione complessiva all’Africa aumenta (4,5 per cento dell’agenda complessiva, massimo storico in sei anni), la quota di notizie ambientate nel continente africano scende all’1,2 per cento. Il resto è ancora una volta dedicato a migrazione, sicurezza, crisi e politica estera europea.
La medaglia d'oro della pugile Imane Khelif alle Olimpiadi #Paris2024
Per la prima volta, il dossier ha misurato quante volte compaiono in tv persone africane o afrodiscendenti. Il dato è impressionante: solo 62 su oltre 5mila ospiti complessivi nei programmi di informazione e infotainment analizzati tra settembre e dicembre 2024: appena l’1,2 per cento del totale. E, quando accade, queste presenze sono quasi sempre legate a narrazioni problematiche: condizione femminile nell’Islam (32,2 per cento), infibulazione (16,1 per cento), criminalità e immigrazione (14,5 per cento), disagio giovanile e periferie (per esempio il caso Ramy e Nukabi). In pochissimi casi – solo il 3,2 per cento – si parla realmente di “Africa là”. Anche nei vertici politici, come quello Italia-Africa di gennaio 2024 che ha posto le basi per il Piano Mattei del governo, le voci africane restano fuori campo. I commenti dei politici italiani sono numerosi; ai leader africani viene concesso a malapena un breve intervento. E alcune testate, nei titoli, tornano a evocare l’idea di una “incompatibilità culturale”, alimentando barriere identitarie.
“L'Agenda 2063 dell'Africa, che riguarda la pace e la prosperità, non può essere raggiunta senza comunità sane. I governi devono assicurarsi che la salute rimanga un motore di prosperità” – dice @daktari1, Direttore Globale di @Amref_Worldwidehttps://t.co/uMqpyJgIh0
Il riflesso mediatico è preciso, quasi speculare, nella percezione dell’opinione pubblica. Il sondaggio Ipsos condotto per Amref mostra che il 67 per cento degli italiani associa all’Africa parole come povertà, malattie, migrazione. Seguono carestia, guerra, corruzione, terrorismo. Temi positivi come sviluppo, futuro, arte, innovazione risultano quasi assenti. Un’immagine impoverita e distorta che contribuisce a costruire – o a rafforzare – un’Africa senza speranza, fatta di problemi e di instabilità.
Ma la stessa indagine rivela un dato sorprendente: l’82 per cento degli italiani, e ben l’88% dei giovani della Gen Z, chiede un racconto più equilibrato, che metta in luce anche le opportunità e le ricchezze del continente. Perché, come dice la presidente di Amref Italia, Paola Crestani, rilanciando anche le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “il modo in cui si racconta un continente può alimentare pregiudizi, distanza, paura. Oppure può costruire ponti di conoscenza, rispetto, collaborazione. Ponti di sviluppo. L’Italia è più che mai convinta della necessità che i nostri due continenti affrontino insieme le sfide rivolte alla comunità internazionale”.
Piccoli segnali: tra cultura, ambiente e cooperazione
E qui veniamo alle buone notizie. Nonostante il quadro critico, infatti, non mancano segnali incoraggianti. Nei programmi tv, la narrazione naturalistica – con il focus su ambiente, paesaggi e biodiversità – rappresenta il 30 per cento dei riferimenti all’Africa, e la voce “cooperazione” sale al 23 per cento, superando per la prima volta guerre e migrazioni. È il segno di un’attenzione più strutturata e meno emergenziale, che guarda anche al ruolo dell’Italia nei progetti di sviluppo e alle relazioni bilaterali tra i due continenti.
Alcuni programmi si distinguono per un approccio più inclusivo e costruttivo, come quelli di divulgazione scientifica e culturale che raccontano l’Africa attraverso la lente dell’innovazione, della tecnologia e delle storie positive: tra questi per esempio il programma Geo su Rai 3. È da qui che può (partire un racconto più giusto, più vero. Inoltre, il 2024 ha visto una timida apertura verso narrazioni più sfaccettate: lo sport (come il rugby femminile in Mozambico), la moda (con la Tangeri Fashion Week) o la cultura (attraverso mostre e conferenze in Marocco, Nigeria e Sudafrica) hanno trovato spazio, seppur marginale.
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