Come il Brasile sta riuscendo a proteggere l’aquila arpia, grazie a fotografia e ricerca

In Amazzonia il progetto aquila arpia cerca di salvare l’aquila più grande del mondo. Ricerca, monitoraggio e fotografie le chiavi per la sua conservazione

Quanti di voi hanno pagato per ammirare qualcosa di unico? Un viaggio a Parigi per vedere la Tour Eiffel, un viaggio a Roma per ammirare il Colosseo oppure un viaggio a New York per osservare la Statua della Libertà? Seguendo la stessa linea di principio, è possibile osservare qualcosa di unico nelle foreste frammentate del Brasile e con i ricavi sostenere i progetti di conservazione. Stiamo parlando dell’aquila arpia, l’aquila più grande del mondo. Grazie al turismo fotografico, alla sempre più crescente consapevolezza della comunità locale e al progetto di conservazione a lei dedicato, l’aquila arpia è riuscita a sopravvivere anche se le minacce incombono dietro l’angolo.

Il progetto aquila arpia

In Amazzonia 25 anni fa è nato il “progetto aquila arpia” e oggi sono più di sessanta i nidi monitorati. Grazie al supporto di ricercatori, volontari e studenti vengono raccolti dati e promosse attività educative e informative con l’obiettivo di proteggere tutto ciò che circonda i nidi. “I nidi sono la nostra priorità, non fare abbattere l’albero su cui è costruito e proteggere una piccola area circostante è la nostra missione”, ha spiegato Tânia Sanaiotti, fondatrice del progetto. Oltre all’attività di monitoraggio sul campo è stato avviato un programma di conservazione ex situ (al di fuori dell’ambiente naturale). In Brasile, infatti, è presente la più ampia popolazione di individui in cattività, ben 139, recuperati da catture illegali o dalla distruzione dei nidi. La conservazione e la riproduzione ex situ è considerata una strategia molto importante anche se la reintroduzione non è una priorità, poiché necessita ancora di studi.

L’aquila più grande del mondo

L’aquila arpia (Harpia harpyja) con la sua apertura alare di circa due metri e un peso che può raggiungere i 9 chilogrammi è considerata uno dei rapaci più grandi al mondo. Una bellezza unica nel suo genere così come la sua fragilità. Questo bellissimo rapace vive principalmente nella – troppo – frammentata foresta amazzonica brasiliana e dal 19esimo secolo ha perso circa il quaranta per cento del suo territorio. In passato, si presente dal Messico fino all’Argentina. La caccia, il disboscamento e l’urbanizzazione sono state le principali cause della diminuzione della sua popolazione, ora considerata vulnerabile dalla Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura). Le arpie oggi vivono in piccoli lembi di foresta e più la foresta è frammentata più i rischi aumentano. Andando a caccia, o semplicemente spostandosi da un lembo ad un altro, rischiano sia di essere ucciso dai cacciatori che di colpire accidentalmente i tralicci della corrente. Monogama e molto fedele al luogo di riproduzione, l’aquila arpia costruisce il nido solo su tre o quattro specie di albero, le stesse ambite anche da uno dei suoi peggiori nemici, il taglialegna.

Nido con piccolo
L’aquila arpia è monogama e ha un pulcino ogni tre anni © Patty McGann/Flickr

La conservazione fatta con le foto

Nel 2017 sono nati i primi progetti di ecoturismo che hanno avuto subito un grande successo, sia per la protezione dei nidi che per conservazione dell’habitat. Con la collaborazione con diverse agenzie turistiche sono state installate torri di osservazione vicino ai nidi delle aquile, così turisti da tutto il mondo hanno iniziato a viaggiare per ammirare e fotografare questo straordinario uccello. Grazie all’aiuto delle comunità residenti sono stati mappati i nidi e in ogni proprietà nella quale è presente un nido è stata posta una torre di osservazione. Un guadagno non sono per le aquile ma anche per la comunità, perché oltre a pagare i proprietari terrieri per ogni turista in visita, sono stati creati nuovi lavori: per la manutenzione delle strade, per la costruzione delle torri, per la ristorazione e molti altri. “Avere l’aquila arpia come specie bandiera per la conservazione della foresta è stata un’ottima strategia per cambiare la mentalità e portare fonti di reddito alle comunità residenti” spiega Everton Miranda, ricercatore del progetto aquila arpia.

Aquila a caccia
Andando a caccia l’aquila si espone a diversi rischi © Jiang Chunsheng/Wikimedia Commons

Le caccia per “curiosità”

A causa della prossimità con le comunità umane l’aquila arpia rimane spesso vittima della caccia. Una particolarità che differenzia questa caccia è la motivazione. Intervistando i proprietari terrieri della regione del Mato Grosso, si è scoperto che l’80 per cento delle uccisioni (180 solo in questa regione) avviene per curiosità, ovvero per il solo gusto di averla tra le mani. Questo tipo di uccisioni hanno un tasso di mortalità di 2.6 individui uccisi ogni 100 km2 ogni anno. Un numero che potrebbe sembrare basso, ma se lo rapportiamo al totale di individui, 9.7 ogni 100 km2, è un tasso di mortalità altissimo. Il restante 20 per cento delle uccisioni avviene invece per vendetta, dopo che l’aquila ha ucciso qualche animale da fattoria. Purtroppo, questa non è l’unica minaccia per l’aquila: la frammentazione della foresta è un pericolo sempre crescente. Infatti, la copertura forestale dell’areale risulta essere un fattore determinante per la sua sopravvivenza, poiché che al di sotto del 50 per cento, non è sufficiente a fornire abbastanza prede per il suo sostentamento.

Le comunità locali hanno capito il tesoro presente nelle loro foreste, i ricercatori hanno tutti i dati per la conservazione dei nidi e chi autorizza il taglio degli alberi ha tutti gli strumenti per minimizzare i danni. Salvare i nidi è un obiettivo raggiungibile ma ridurre l’impatto della deforestazione rimane ancora una sfida difficile.

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

Articoli correlati
Un olivastro di migliaia di anni in Sardegna è arrivato terzo agli European Tree of the year awards 2024

Sale sul podio l’olivastro millenario di Luras, in Sardegna, nell’ambito del prestigioso riconoscimento European tree of the year 2024: l’albero italiano ottiene il terzo posto, dietro a “The weeping beach of Bayeux” in Francia e al vincitore “The heart of the garden” in Polonia, quest’ultimo accreditato con quasi 40.000 voti. European Tree of the year