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Ascoltare gli altri è più importante che mai, specie in tempo di crisi che amplifica i conflitti. Con le tecniche giuste si può imparare.
Quante volte vi siete chiesti: “Sono un bravo ascoltatore?” o, per i più ambiziosi, “Sono un grande ascoltatore?”. Probabilmente poche, forse nessuna: benvenuti nel club. Di base i motivi sono due, da un lato la capacità di ascoltare gli altri viene data per scontata, dall’altro i benefici che ne derivano sono ancora poco conosciuti e spesso sottovalutati.
Rendere più efficace la comunicazione, appianare i conflitti e migliorare i rapporti tra le persone sono i vantaggi più evidenti di quello che gli esperti chiamano ascolto attivo.
Più pregevoli dei suoi effetti sono, però, i presupposti, che includono rispetto del punto di vista altrui, accettazione della complessità, sospensione del giudizio. In altre parole, quelle di una delle voci italiane più autorevoli in materia, la scrittrice e sociologa Marianella Sclavi: “Se vuoi capire che cosa il tuo interlocutore sta dicendo, devi assumere che abbia ragione”. Detta così sa di utopia, specialmente in tempi come quelli in cui viviamo, in cui lo spazio per il confronto è sempre più polarizzato e frammentato in monologhi paralleli. Un cambiamento, invece, è attuabile oltre che necessario.
Si dice che uno dei più fini great listener della storia fosse Sigmund Freud. Il suo modo impareggiabile di ascoltare è descritto in un libro dello scrittore Dale Carnegie: “Non ho mai visto una tale attenzione concentrata. […] I suoi occhi erano miti e geniali. La sua voce bassa e gentile. I suoi gesti erano pochi. Ma l’attenzione che mi ha riservato, il suo apprezzamento per ciò che ho detto, anche quando l’ho detto male, è stata straordinaria. Non hai idea di cosa significhi essere ascoltato in quel modo”.
Certo, leggere questo articolo non vi trasformerà nel padre della psicanalisi tanto quanto ascoltare un podcast sull’arte performativa non vi farà diventare Marina Abramović, perché l’intento di queste parole è un altro.
Racconteremo cos’è l’ascolto attivo, ne approfondiremo gli effetti sulla qualità della vita e condivideremo le strategie basate su evidenze scientifiche per migliorare le proprie capacità di ascolto.
La maggior parte delle conversazioni si basa su un malinteso, cioè che per dimostrare interesse mentre uno parla sia sufficiente stare in silenzio e non interrompere. Molti si sforzano di esprimere coinvolgimento usando le espressioni facciali e vocali (ah!, uh!, mmmh) e ripetendo parola per parola la coda verbale dell’interlocutore, come un’eco. Si può fare di meglio? Decisamente sì, secondo gli esperti di leadership Jack Zenger e Joseph Folkman.
Nella ricerca che hanno condotto su un campione di 3.492 manager, solo il 5 per cento brillava per doti di ascolto superiori alla media. A distinguerli, in estrema sintesi, erano due aspetti riconducibili all’ascolto attivo: quello di porre delle domande per agevolare l’esposizione altrui e per verificare la propria comprensione, e quello di mettere a proprio agio l’interlocutore con un atteggiamento non giudicante né competitivo, ma aperto e disponibile.
Quando ci concentriamo su noi stessi, il nostro mondo si contrae. Ma quando ci concentriamo sugli altri, il nostro mondo si espande.
L’ascolto attivo è una tipologia di ascolto che si basa sull’empatia, sull’accettazione e sulla cooperazione e che ha ricadute positive anche sulla condizione psicofisica. “Il nostro benessere dipende in gran parte dal benessere delle nostre relazioni. Saper trasformare la fisiologica conflittualità (in famiglia, sul posto di lavoro, a livello cittadino) in opportunità per sviluppare e migliorare le relazioni, fa benissimo alla salute di tutte le persone coinvolte”, racconta Stefania Lattuille, mediatrice e facilitatrice nel team di Ascolto attivo a Milano, la società fondata da Sclavi che sviluppa percorsi di progettazione partecipata, facilitazione, mediazione e formazione alla gestione creativa dei conflitti.
“C’è un gioco che propongo spesso come formatrice: richiamando alla mente degli specifici episodi che si sono vissuti, chiedo di fare l’elenco dei sentimenti e delle emozioni provati quando non ci si è sentiti ascoltati; poi un elenco di quelli provati quando ci si è sentiti davvero ascoltati. Alla fine, nell’aula, c’è sempre un potente silenzio pensoso dei partecipanti nell’osservare la lavagna che riporta i due elenchi”.
Chi sa ascoltare si orienta con l’intelligenza emotiva: coglie inflessioni sonore, gesti liminali, segnali emotivi che l’altro comunica e con cui stabilisce un contatto empatico e di accettazione reciproca. Ma come si fa? Per cominciare, conosciamo le regole.
Marianella Sclavi è scrittrice e studiosa di arte di ascoltare e gestione creativa dei conflitti. Vent’anni fa ha scritto il libro “Arte di ascoltare e mondi possibili”, pietra miliare dell’argomento da cui abbiamo tratto la lista che segue. Un elenco di spunti di riflessione utili per diventare buoni ascoltatori.
È più faticoso ma si può fare. L’esperienza della pandemia ha permesso di mettere a fuoco e affinare tecniche e accorgimenti: “Se siamo on line, siamo divisi da una barriera, per cui c’è bisogno di dare e ricevere più conferme rispetto all’andamento della comunicazione e dell’ascolto reciproco, tanto più che spesso non abbiamo la percezione del non verbale dell’altro e quindi minori informazioni”, spiega Stefania Lattuille.
“Ad esempio è importante curare con più attenzione il giro di parola in modo che tutti siano messi nella condizione di far sentire la propria voce; spesso è anche necessario creare degli appositi spazi di ascolto, ad esempio con delle sessioni separate dedicate”.
L’ascolto attivo è uno strumento profondo di cambiamento che dobbiamo imparare a rivolgere innanzitutto verso noi stessi. Imparare ad ascoltarci, osservare e comprendere le nostre emozioni è un passaggio fondamentale, anche se faticoso e a volte anche doloroso.
Diventare ascoltatori migliori è il lavoro di una vita, non si finisce mai di imparare. Col tempo, dicono, l’arte di ascoltare gli altri coincide con l’arte di ascoltare se stessi: lo stesso sguardo indulgente e curioso che rivolgiamo all’esterno indaga anche il cantiere aperto dei nostri pensieri, delle emozioni, delle abitudini. Insegna anche a proteggersi, a scegliere a chi e a che cosa dedicare tempo e attenzione, e che un po’ di sano egoismo non guasta. Perché, come recita una citatissima metafora, non siamo spugne, siamo trampolini e insieme possiamo far volare le idee.
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